giovedì 31 gennaio 2013

Sono tutte uguali le mamme del mondo,


è un pensiero che mi coglie di sorpresa, sì, perché non è ch'io sia più di tanto abituata ad osservare o commentare le relazioni tra genitori e figli. Farà parte di tutto questo paragonare, confrontare, commisurare e spiegare (spiegarmi) due culture così diverse, mi dico. Qualunque sia il motivo e per quanto banale possa sembrare questa conclusione, non posso fare a meno di constatarla. Mi sorprende parecchio, a dire il vero, forse perché sono così concentrata a scovare particolarità e differenze che quasi non mi rendo conto di tutto ciò che invece accomuna e  rende simili.
Sono stata due giorni nella provincia di Bac Giang, a tre ore di macchina da Hanoi, in un piccolo e precario villaggio, An Lac, accompagnata da una schiera di chiassosi studenti vietnamiti, per un campo di volontariato con i bambini. Abbiamo incontrato i loro genitori e i loro nonni, abbiamo giocato con loro e, a guardarli bene, questi bambini vietnamiti non sembrano poi così diversi dai loro coetanei italiani. Nel gioco, intendo, non di certo nello stile di vita.
A tratti esclusa dalle dinamiche del momento a causa di ovvi limiti linguistici - il che non mi dispiace perché mi dà la possibilità di riprendere fiato dal caos creato dai volontari che non smettono nemmeno per un minuto di urlare e ridere, quasi sono peggio dei bambini!- ho la possibilità di starmene lì ad osservare, appuntando nella mente queste riflessioni estemporanee che ora, a mente fredda, posso rielaborare.
Mi rivedo mentre me ne sto lì e da un lato del cortile i bambini cantano una canzone in cerchio con i volontari (chissà cosa stanno dicendo, poi), dall'altra i genitori e i nonni li guardano compiaciuti, sicuramente fieri e orgogliosi di vederli giocare assieme, almeno per una volta. Nel frattempo li vedo che confabulano e ridacchiano, c'è questa specie di complicità che si è creata tra loro per il fatto che ricoprono lo stesso ruolo, vigili. Ogni tanto qualcuno alza la voce e si rivolge al figlio, alla figlia o al nipote dicendo qualcosa che chiaramente io non capisco, allora cerco di interpretare. E mi riesce anche bene: “Vieni a bere, su” ed ecco che la piccola Phuong obbedisce, si stacca dal gruppo, corre verso la mamma che le porge una bottiglietta d'acqua; “Non lasciarlo lì per terra, portami qui il berretto che sennò si sporca”, ora è la volta di Lam che in due secondi esce dal cerchio, obbedisce alla nonna e come un fulmine torna a cantare con gli altri, non vuole proprio perdersi nemmeno un attimo di questo gioco; “Vestiti che fa freddo”, Ly non fa nemmeno in tempo a terminare la frase che Tam si è già rimessa la giacca che aveva volutamente lasciato cadere; “Non urlare, comportati bene”, è il turno della nonna di Bao, mi chiedo se stiano facendo una specie di gioco anche loro, con tutto questo suggerire, riprendere, commentare le azioni dei figli. Si scambiano sguardi d'intesa “Hai fatto bene, fa freddo stasera, si sarebbe ammalata sicuramente senza giacca”, “Bisogna sempre dire tutto a questi bambini”, “Chissà come si sarebbe ridotto il berretto se l'avesse lasciato lì per terra”, si danno colpetti sulle spalle, ridono. Sorridono. E poi con i loro cellulari scattano delle fotografie, per immortalare il momento, per mostrarle il giorno seguente ai loro vicini di casa o semplicemente per conservarne il ricordo. Mi torna alla mente quando anch'io da piccola, mentre giravo sulla giostra dei cavalli (la mia preferita) attendevo ogni giro di salutare la mamma, mi sbracciavo, mi facevo fotografare allo stesso modo.
Poi d'improvviso il gioco finisce, quasi non me ne rendo conto tanto sono assorbita dai miei pensieri e persa nella mia immaginazione di creatrice di dialoghi: i bambini smettono di cantare, è ora di andare a casa. Tuyet si dirige verso sua figlia Ngan, le sistema la giacca e il berretto. Mi guardano e mi sembra di cogliere esattamente queste parole: “Su, si saluta prima di andare via”. Lei corre verso di me, la sto aspettando con un sorriso; afferra la mia mano, mi guarda e sono sicura mi stia dicendo “Ciao Anna, ci vediamo domani!


A

1 commento:

  1. Grazie Anna per questo spaccato di realtà. La loro. Che è anche la nostra! Beatrice

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