giovedì 6 giugno 2013

Andare altrove per vivere altrimenti

La citazione non è mia, me ne sono appropriata qualche giorno fa durante un interessante incontro sul tema del viaggio. 
Il proprietario di questa affermazione è Romano Toppan, docente di Economia del turismo e autore de "Il viaggio- contributo della letteratura e dell'antropologia culturale al senso del viaggio". Il libro è un interessante racconto dell'evoluzione della figura del viandante partendo dal buon Goethe fino ad arrivare ai giorni nostri, passando per Montaigne, Proust e  Chatwin. E' una raccolta di "aforismi enzimatici" sulle varie concezioni del viaggio, come lo ha scherzosamente definito Duccio Canestrini, antropologo roveretano e moderatore della conferenza. 

Oltre a rivelarsi un incontro molto interessante (ma soprattutto una fuga dai libri che incombono sulla scrivania), è stata l'occasione giusta per iniziare una riflessione più o meno seria sul significato dello spostarsi, l'andare verso qualcosa che non si conosce bene, viaggiare appunto. Sia ben chiaro, l'intento non è certo quello di snocciolare definizioni o sentenze su come un viaggio debba essere, si tratta più che altro di un tentativo personale di dare un nome alle cose. 

I primi viaggi in cui mi sono avventurata avevano il senso della scoperta, della curiosità di sapere cosa si nascondeva dietro alle alte montagne, al di là dei mari, cosa succedeva fuori dai confini del piccolo paese di provincia. Mi sembrava profondamente romantica l'idea di partire e stabilirmi altrove pensando al significato della parola persempre. In più di una occasione le mie partenze sono state una vera e avanscoperta, tanto che mi ritrovavo ad immaginare con dovizia di particolari a come sarebbe stata la mia vita quotidiana in quel contesto, tra quelle persone. Dove avrei comprato il pane, come avrei trascorso i vari sabato sera o con chi avrei condiviso il pranzo della domenica. A volte mi chiedevo se un giorno avrei mai imparato a cancellare il mio accento per mimetizzarmi totalmente senza essere considerata "la straniera" di turno. In Vietnam questo sarebbe stato un aspetto irrilevante, da non considerare nemmeno. Ma questa è un'altra storia. 

Comunque, ciò che avviene puntualmente è l'accrescersi di un sottile ma deleterio sentimento che in modo inevitabile mi riporta sempre al punto di partenza. La chiamano nostalgia, mancanza, malinconia. Io lo chiamo attaccamento. Pur scappando e pur improvvisando comportamenti spavaldi (o forse si tratta di auto- convincimento?) sento crescere il bisogno di riallacciare, ristabilire... ritornare. Mi sento, cioè, continuamente combattuta tra il fascino dell'ignoto di una vita lontana dall'abitudine e la serena rassicurazione del caldo nido familiare. Dopo tanti tentativi ho dovuto accettare il fatto di essere tremendamente attaccata alle mie radici, alle persone e ai luoghi dove sono cresciuta. Non posso farci niente. Ho paura che sia l'effetto di quel vecchio detto per cui uno percepisce il valore delle cose solo nel momento in cui gli vengono a mancare. 

Allora ho iniziato ad interpretare la partenza in modo diverso. Una scoperta, una sfida, certo. Ma soprattutto una miniera di stimoli da portare a casa con me, da conservare per strutturare le giornate in libertà, proprio come succede quando viaggio. Mentre viaggio cerco di comportarmi come una spugna, assorbo quanti più input mi è possibile, annoto, fisso nella mente immagini o idee che poi cerco di rubare per rendere la vita di tutti i giorni più simile a come la vorrei. E' come se stessi componendo un collage. Ritaglio e poi incollo il dettaglio che tanto cercavo in un'opera complessiva, sempre imperfetta ma in continua evoluzione. Ho notato che, dopo ogni viaggio, vivo diversamente situazioni e contesti, relazioni e imprevisti. Valuto ogni cosa con parametri diversi e, in generale, mi sento meno inquieta.  

Forse il futuro mi chiederà di spostarmi di nuovo, di cambiare ancora Paese. E allora via, sarà il tempo del 14° o 15° trasloco (ho perso il conto), del nuovo inizio. Del riavvicinamento con la curiosità e la paura, sentimenti ormai ben noti, con l'entusiasmo di poter reinventarsi daccapo e quella latente malinconia per ciò che confortava e assicurava disinvoltura. Intanto cerco di dipingere, tratto dopo tratto, il quadro del mio mondo, riconoscendo nell'andare altrove il desiderio di vivere altrimenti. 


A