domenica 18 ottobre 2015

Notte di luna piena

Le stelle, gli addobbi tipici del Mid Autumn Festival.
Hanoi, 26 settembre 2015 | © Anna Brian
Sabato sera, il primo dopo quasi tre anni, ad Hanoi. La città vecchia è illuminata a giorno, succede qualcosa intorno a noi. Ci ritroviamo improvvisamente travolti da un'onda di ragazzini, bambini e palloncini (e motorini) che ci spinge verso Hàng Mã, nel cuore della Festa. Bancarelle, cianfrusaglie, maschere e luci colorate animano la strada, mentre qualcuno improvvisa uno spettacolo di break dance sulle note di un rapper vietnamita. Poco più in là, sotto gli occhi di un gruppo di bambini adoranti, si svolge lo spettacolo della danza del dragone. 
C'è un'atmosfera speciale che scalda l'Old Quarter stasera, dicono succeda ogni anno nel quindicesimo giorno dell'ottavo mese lunare, in occasione del Mid- Autumn Festival. Conosciuta anche come Full Moon Festival, questa ricorrenza è un appuntamento molto atteso dai più piccoli, che non vedono l'ora di tuffarsi nei suoni e nei colori di quello che potrebbe essere definito "l'halloween vietnamita". Ma anche per più grandi, che non perdono l'occasione per indossare qualche parrucca strana, occhiali fluorescenti, o quei curiosi germogli che pare vadano tanto di moda in Cina.
Hàng Mã gremita di persone
Hanoi, 26 
 settembre 2015 | © Anna Brian

Passeggiamo lungo la strada e più esattamente ci facciamo largo tra la folla per aprirci un piccolo spazio vitale: resistiamo forse un quarto d'ora in questo mare di voci e colori, giusto il tempo di assaporare l'atmosfera del festival. Poi scivoliamo via, assieme alla musica che si fa sempre più tenue mentre ci allontaniamo. 
Partecipare al Mid- Autumn Festival è un appuntamento che non si può mancare se ci si trova a passare per Hanoi a fine settembre: grazie ad una guida d'eccezione, la mia amica Lien, scopriamo le antiche tradizioni degli addobbi che vediamo appesi tra le case e i fili elettrici, dei travestimenti e delle maschere, dei dolci e dei frutti che per la prima volta nel nuovo anno lunare arrivano in città dalle vicine campagne. E l'aria è elettrizzante, tutto intorno a noi respiriamo l'eccitazione dei ragazzi che, almeno per una sera, si lasciano andare in scherzi e balli sfrenati. 


Colorati travestimenti per il Full Moon Festival
Hanoi, 26 
 settembre 2015 | © Anna Brian
Carri straripanti di giovani festanti sfilano lungo le strade che circondano Hoàn Kiếm, il "Lago della spada restituita", punto nevralgico della città, mentre tamburi e cori si alzano fino alle raggiungere i tetti e le terrazze delle case. E proprio lì ci trovano mentre gustiamo le ultime note del giorno in compagnia di una birra ghiacciata e di qualche chiacchiera, rischiarati dalla Luna più luminosa e magica dell'intero anno della Capra. 



A


Per vedere altre fotografie scattate al Full Moon Festival 2015 clicca qui.

mercoledì 30 settembre 2015

Una nuova partenza

Nella foto: alba all'aeroporto di Bangkok
Sul volo Milano - Bangkok, sopra i cieli del Turkmenistan. Ora imprecisata. 

E così un giorno ti ritrovi a bordo di un aereo diretto ad Hanoi. Pochi saluti, qualche abbraccio, molti sguardi perplessi. Non te ne rendi conto fino a quando non sbatti contro i tornelli degli imbarchi, estrai il tuo biglietto e sì, c'è proprio scritto che sarai tu la prossima a partire. Lì realizzi che lo stai facendo davvero, ancora. Lì capisci che non c'è altra cosa da fare se non cacciare dentro le lacrime (non puoi più negare l'emozione) e passare il codice a barre a testa bassa, mentre attraversi la porta scorrevole cercando di non dare nell'occhio. 
Passata questa soglia, sai che nulla sarà più come prima e mai come le altre volte, perché è proprio questo ciò che ripeti come un mantra: ogni viaggio è accompagnato da sentimenti estremamente diversi e contrastanti che puntualmente esprimi con queste lacrime. E non puoi farci niente, loro continuano ad uscire una dietro l'altra, mentre tu le giustifichi parlando di nervosismo. E alla fine le lasci andare, ben attenta a non farti vedere dagli altri viaggiatori sorridenti e rilassati sulle poltrone accanto a te. 
Scrivi, sperando che la stretta allo stomaco lasci spazio ad un po' di serenità, ma in fondo sai benissimo che tirerai il fiato solamente dopo aver portato a termine il tuo incarico, il tuo primo incarico ufficiale come fotografa. Sai già che ti sembrerà di vivere dentro ad una bolla per tre settimane, tanto è assurda l'idea di essere catapultati dall'altra parte del mondo in una manciata di ore di volo. Ti sembrerà di vivere un'esistenza parallela, mentre al tuo ritorno ti domanderai: ero davvero io? E' toccato realmente a me questo meraviglioso destino? 
M. dice sempre che diventerai "scrittrice e fotografa" e tu hai sempre pensato che questa idea fosse molto bella ed estremamente romantica. Ti crogiolavi nel sogno che tutto ciò fosse possibile, un giorno, ma senza illuderti troppo. Invece eccoti qui, sul volo diretto ad Hanoi con l'incarico di realizzare un reportage fotografico. 
Il tuo primo reportage, la tua prima commessa. Sì, sta accadendo davvero. 
E mentre scrivi e pensi e sogni, sei già sopra i cieli di Kabul. 

A.

martedì 29 settembre 2015

Bartolomeo, Toresàn viaggiatore

Illustrazione di Lara Maschio
(piccola storia di Breganze per bambini e ragazzi)
di Fabiola Secco e Anna Brian

Durante uno dei suoi numerosi viaggi intorno al mondo, il toresàn Bartolomeo stava sorvolando il territorio vicentino quando incontrò sulla sua rotta la punta di un altissimo campanile, come non ne aveva mai visti. Dovette frenare di colpo per non sbatterci addosso e, grazie ad una manovra di emergenza, riuscì ad atterrare sulla cella campanaria senza farsi male. Tirò un sospiro di sollievo, prese il binocolo per capire dov'era capitato ed aguzzando la vista riuscì a scorgere in lontananza un cartello che recitava: “Benvenuti a Breganze, terra del torcolato e dei torresani”.
“Certo, che bel paesaggio da quassù – pensò – con queste verdi colline ad incorniciare una distesa di fiumi e campi, case e strade. Beati i piccioni di qui, chissà quanti voli e scampagnate possono organizzare in un posto così tranquillo! Penso proprio che mi fermerò qui stanotte per riposare le mie stanche penne e godere della pace di questo bel Paese”. Stava considerando la possibilità di alloggiare proprio sul campanile quando, ad un tratto, iniziarono a suonare le campane: i rintocchi producevano un suono così assordante che sarebbe stato impossibile chiudere occhio! Si rassegnò a cercare un altro posticino riparato dove poter trascorrere la notte. Bartolomeo però non era un piccione qualunque, non si poteva accontentare di un riparo di fortuna: lui era un toresàn, un piccione di torre, ed era quindi nella sua natura alloggiare in alto, preferibilmente in una torretta, che, come aveva sentito dire, da queste parti chiamano “colombara”.
Scrutando il paesaggio attraverso le lenti del suo binocolo, Bartolomeo si rese conto che la ricerca non era così semplice come immaginava: certo, a Breganze di colombare ce n'erano a volontà, ma molte erano abbandonate o disabitate, altre già affollate da altri piccioni viaggiatori. Sconsolato, Bartolomeo proseguì la ricerca, nella speranza di trovare una soluzione, ma ben presto si accorse che anche molti altri edifici del Paese versavano nella stessa situazione: case inabitate e avvolte dai rovi, un vecchio mulino caduto quasi completamente in rovina, antiche contrade ormai svuotate e deserte. perfino alcune bellissime ville ed edifici del centro storico! Ma di una colombara per Bartolomeo sembrava non esserci nemmeno l'ombra.
“Sta cercando qualcosa in particolare, Signor piccione?” - una voce giunse alle sue spalle. Bartolomeo si girò di scatto: “Si, cioè... no, Signore! Ammiro il paesaggio da quassù. Vengo da molto lontano, mi chiamo Bartolomeo. E lei, Signor...?”
“Sono il Vecchio piccione custode della Torre Campanaria – rispose – tutti qui mi chiamano così. Ma tu, Bartolomeo, hai avuto un bel coraggio a fermarti qui a Breganze, è pericoloso per un toresàn come te, lo sai?”
“Per quale motivo, Signor Vecchio piccione? Nel cartello c'è scritto «terra dei torresani»!”
“Perché potresti finire allo spiedo, magari con un contorno di polenta e fagioli! Saresti proprio una specialità!”
“Ma non è possibile che ci siano così tanti pericoli in un Paese così tranquillo e moderno” - replicò Bartolomeo, che non riusciva a credere alle sue orecchie.
“Eh, sapessi... Sembra tranquillo, ma tra girarrosto, antenne e fili elettrici, cantieri e gru è diventato sempre più difficile volare in santa pace. Una volta non era così, si poteva volteggiare nel cielo in libertà, dalle colline di Breganze fino ai campi di Maragnole e Mirabella”.
“E cos'è successo in questi anni, Signor Vecchio piccione?”
“E' una storia lunga, caro Bartolomeo. Se vuoi te la racconto, cosa ne dici di un buon bicchiere di vino?”

[...]

La storia continua in formato cartaceo! Desideri averne una o più copie? Scrivimi una mail all'indirizzo anna.brian25@gmail.com per avere ulteriori informazioni.

sabato 14 febbraio 2015

sabato 10 gennaio 2015

Il mondo degli altri

Domani saranno due anni di vita qui a Parigi: un intervallo di tempo insignificante se comparato all'immortalità di questa metropoli. Insignificante, ma sufficiente per osservarla, dettaglio dopo dettaglio, respirarne l'aria satura e vederla cambiare.

Per me Parigi è sempre stata una città di transizione, un incrocio di mille mentalità: il mondo degli altri, insomma.
Superata la prima (patologica) luna di miele, della serie “chefigoqui-inItaliafatuttoschifo”, ho tentato più volte, da buon spettatore, di avvicinarmi al palco di questa realtà transalpina, sbagliando molto spesso e cambiando profondamente. Uno spartiacque indelebile che, volente o nolente, mi ha costretto ad azzerare molte cose, a ricominciare sovente da capo.

Sono passati due anni, ma da oggi per me Parigi non sarà più la stessa, stavolta per davvero.
In questi giorni sono accadute cose incredibilmente più grandi della nostra quotidianità fatta di occhi assonnati, isteriche camminate nei corridoi della metro ed emicranie davanti al computer.
Cose troppo grandi e prepotenti per non dire nulla, anche se in mezzo alla bolgia infernale dei social network, dei veleni e degli opinionisti da 160 caratteri, la paura di risultare banale è davvero forte.

Dispiace anche dover rispolverare questo blog abbandonato più di un anno fa, come tante buone intenzioni, in occasione di una tragedia come quella di Charlie Hebdo, ma evidentemente è così la vita: la passiamo accelerando il nostro tempo, accorgendoci delle cose importanti solo a badilate in faccia.

Dannazione a me.

Qui però c'è la paura, anzi, forse più di una, e mi turba pensare che ce ne voglia per forza una per dover esprimere un'opinione. La paura si adatta alle scelte che si vogliono fare, come decidere se restare barricato in casa per la paura di essere fucilato mentre fai la spesa, oppure se scappare via per non farti saltare in aria. La paura ti da la libertà di prendere posizione, di fare la voce più grossa. La paura ti rende improvvisamente esperto, convinto di stare nel giusto, e molto spesso purtroppo anche supponente. La paura ti convince di essere più intelligente e ti getta a tua insaputa nel bordello di Internet, degli attivisti da Hashtag e delle opinioni costruite a tavolino.
Una corsa a sgomitate, per dimostrare a tutti che dall'alto della nostra saccenteria, non abbiamo paura.

Personalmente più del terrorismo mi spaventa la morte, il suo orrore, il suo mistero, troppo grande ed inquietante per poterlo imporre ad un individuo di qualsiasi specie: la morte come fine di ogni scelta e percezione.
E qui a Parigi, di morti ce ne sono stati troppi in un colpo solo: morti arrivati in una maniera talmente irreale e veloce, da non rendersene ancora totalmente conto.

In studio da me si lavora come sempre, si disegna, si ride a qualche battuta, ma con una ruga tesa in più ai bordi delle labbra. Non capisco se sia una mia impressione, ma sembra che tutti si sforzino di nascondere a loro modo un po' di polvere sotto il tappeto, mentre fuori le sirene cantano stridule, nel mondo degli altri.
Con la coda dell'occhio guardo le notizie dal mio PC, nascondendo a fatica l'irrequietudine: è più forte di me.
Colpi di fucile a Vincennes: subito non ci credo, penso sia l'ennesima ondata di panico, l'ennesimo falso allarme, come quello a Trocadéro. Poi la notizia cresce, si fa prepotente, mostra i muscoli, mi torce lo stomaco con un ghigno fra le righe, quasi a sbeffeggiarmi, perché in cuor mio avrei fatto di tutto per sottovalutarla e tranquillizzarmi.
Richard Lenoir, Montrouge, Vincennes: ora non la smetteranno più! Sembra di essere tornati nel 2003. Ma che razza di giovinezza mi è capitata?
Ricevo una chiamata dai miei genitori: hanno la voce pacata, ma cupa e hanno sentito alla radio la notizia. Li conforto dicendo che sto bene, che sono lontano dai casini e che tornerò a casa in bici, ma non sono del tutto convinto dell'efficacia delle mie parole.

Esco, le sirene strillano ed io pedalo mentre il mondo degli altri si distrugge da sé, come avrebbe detto Giorgio Canali, che di Francia ne ha masticata un bel po'. Nell'apparenza tutto scorre come sempre, un metro per volta, mi fermo ad uno stop, al mio fianco Notre Dame. Penso che avrei potuto essere dentro quel supermercato a Vincennes, penso all'orrore della morte e rabbrividisco, mentre una turista asiatica scatta una foto con sorriso idiota.

Il resto del pomeriggio passa tra qualche telefonata e messaggio, seguendo la notizia in diretta, ma è l'isteria del web e dei Social network che regna sovrana, con i suoi paladini della Domenica, complottisti e sciacalli: un inferno che farebbe impallidire perfino Hieronymus Bosch.

Osservo questo spettacolo di opinionisti improvvisati e in me nasce una seconda paura, forse più grande della prima.
Ho come la brutta impressione che sul vaso di Pandora non ci sia più un coperchio, ma una sottile membrana, fatta di buonismo, patriottismo e persone che speculano sulla morte di vignettisti che da vivi le avrebbero sputtanate a sangue.
Persone che prendono volentieri le scorciatoie, che odiano facile e sbandierano facile, poi manifestano, cambiando foto del profilo.

E' una frecciata feroce che lancio ai miei conterranei, lo ammetto, ma non credo nemmeno che la tanto celebrata Francia sia esente da tale ipocrisia.

Anche i transalpini hanno la memoria corta: nessuno vuole vedere che davanti questa unanimità di facciata contro l'orrore, si nasconde una società che mette i più deboli l'uno contro l'altro, costruendo da sé i propri nemici.
Dispiace anche vedere come pochi giornali ricordino come Al Qaeda sia una lontana conseguenza dell'immensa umiliazione coloniale e post-coloniale, e che le lezioni di “civilizzazione-laicità-libertà” siano stati dei fatti inauditi, per alcuni che hanno subito questo e ancora lo subiscono.

A Place de la République, simbolo di ogni grande manifestazione Parigina, sono in centinaia a volersi arrampicare sulla statua della Marianne per gridare “Liberté d'éxpression!”: é un mantra sacrosanto, che non rinnegherei mai, ma non credo sia questo il problema.
Il problema è non far crescere persone talmente prive di speranza, da ridursi a non avere alcuna ragione, se non quella di ammazzare le persone in massa, perché il fondamentalismo, di qualsiasi natura, è irreparabile una volta impiantato.
Non è per niente facile, ma su queste cose credo sia necessario rifletterci prima che i pensieri deliranti, le generalizzazioni e l'odio comincino a contaminare le persone, perché, come ho detto prima, non possiamo più accettare di prendere una badilata in faccia per accorgerci delle cose importanti.

E' questo il problema e la mia paura allo stesso tempo: quando la membrana sul vaso di Pandora si romperà, si litigherà nelle scuole e nelle case su una cosa per la quale abbiamo litigato anche dieci anni fa, inutilmente, dividendoci tra cattolici e no, islamici e no, fino a che, pur di non rovinarci la digestione, faremo passare la questione di moda, prima di risolverla.
Ed io, purtroppo, non sono da meno.

Essere o non essere Charlie dunque? Dopo la paura, arriva il dubbio: come posso bypassare tutte queste polemiche, facendo qualcosa nel mio piccolo? Evitare che l'aria di Parigi (e non solo) si avveleni ancora di più? C'é un modo per il quale il mondo degli altri possa anche diventare il mio?

Ormai è sera, si fa buio nel XV Arrondissement, i tre terroristi vengono uccisi in un blitz coordinato: qualcuno canta vittoria, io no, e mi angoscio nel pensare alla morte come risposta a se stessa.

Ho mal di testa, ma i miei pensieri ora si concentrano su Charlie Hebdo.

Penso al disegno, alla matita, come forma di comunicazione, come qualcosa che tiene vivi l'istinto e l'innocenza. Perché disegnare, ricorda Vinicio Capossela, è una cosa che tentiamo di imparare fin da piccoli, come un gioco, e dal gioco nasce la ricerca della bellezza, che a sua volta genera arte.
E la libertà d'espressione è anche questo: cercare la bellezza ovunque, con la matita o qualsiasi altro mezzo.
E con tali mezzi si catturano le gioie ed i dolori della vita umana, per portarle nel mondo delle idee e tradurle in arte. L'uomo usa l'arte per costruirsi una memoria: lo può fare celebrandola o irridendola, e quest'ultimo è il caso di Charlie Hebdo, dove gli uomini orribili, prepotenti ed arroganti diventano piccoli, ridicoli e divertenti. La risata come esorcismo, insomma.

Penso alle idee che non danno preavviso, penso alla matita come generatrice di queste ultime, penso alla matita come punto di partenza per ogni evoluzione.

Mi ricordo di essere un giovane architetto, pure nella nostra professione tutto parte da uno schizzo: è il seme che utilizziamo per tentare, non senza difficoltà, errori e frustrazioni, di rendere questo mondo più vivibile. Forse si dovrebbe impugnare un po' di più la matita ed un po' meno il mouse nella nostra professione, per ribadire che anche l'architettura, con il disegno, è libertà d'espressione: sarebbe un bel modo, nel nostro piccolo, di difenderla.


Allora, dopo questo pensiero, mi sforzerò di riempire le pagine bianche di schizzi, osservando Parigi scioccata nei suoi cambiamenti, entrando nel mondo degli altri, per poterlo forse arricchire un giorno.  


M


venerdì 7 novembre 2014

Ciò che non muore in autunno, rinasce.

Quando arriva l'autunno bisogna andare nei boschi. 
Non farlo è quasi una colpa, specialmente se dritto sopra il tuo naso scotta inaspettata una palla ancora sfacciatamente rossastra.
Io ho il mio bosco preferito ed è poco lontano da casa. Quando riesco ci trascorro un'ora, forse due, ne percorro i sentieri ed annuso l'aria frizzante che in questo luogo sembra avere una consistenza magica. 

Parcheggio la macchina davanti al capitello, c'è una casa dall'altra parte del piazzale: apparentemente disabitata, ospita una dozzina di gatti che saltano da un terrazzo all'altro. Sono davvero tantissimi e bellissimi, si rincorrono e si appallottolano, sembrano lì da sempre. Mi incammino lungo il sentiero, calpesto le foglie a terra e dopo tanto tempo le sento frantumarsi sotto ai miei passi, prendo coscienza del tempo e delle stagioni dopo la confusione meteorologica dei mesi passati. Mi piace costeggiare il fiume, ascoltarlo mentre risalgo fino alla prima cascata; la prima volta in cui sono venuta qui era d'estate, ricordo la sorpresa nello scoprire un angolo di rara bellezza in una zona anonima e disabitata del vicentino. In un torrido pomeriggio di luglio di due anni fa, mi rivedo salire il pendio in compagnia di M mentre osserviamo antiche fiabe della nostra tradizione riplasmate in opere d'arte da sapienti mani d'artista

Alcune di esse sopravvivono al tempo e alle stagioni, le incrocio lungo il sentiero e mi accorgo di come la natura se ne sia appropriata, di quanto le abbia fatte proprie quasi nascondendole tra la vegetazione. 
Mi addentro tra gli alberi, sono più o meno le 4 del pomeriggio e la luce comincia a farsi più calda e densa, filtra tra i rami illuminando a tratti il sottobosco e il muschio che avvolge i tronchi e i sassi sparsi a terra. Decido di scattare qualche foto per catturare almeno una piccola parte di questa luce stupenda di inizio novembre: sperimento qualche inquadratura, mi sposto, regolo il diaframma e il tempo di esposizione, rinuncio alla messa a fuoco e cerco di vivisezionare i colori dell'autunno concentrandomi sui toni della luce che entrano nell'otturatore e rimangono impressi nel sensore della mia macchina fotografica. Ne scopro sfumature inaspettate e suggestive, quasi di fiaba; mentre scatto mi perdo a osservare le forme che i punti luce vengono a formare nel mirino della macchina fotografica e le reinvento nella mia mente, costruisco giunture, correlazioni, racconti e veri e propri dialoghi luminosi in divenire. Impossibile non pensare, al di là delle storie inventate o sognate, a tutto ciò che tornerà dopo il freddo e dopo l'inverno, alle novità che il nuovo anno porterà con sé. 

Ciò che non muore in autunno, rinasce. Quello che nei mesi scorsi era rimasto sospeso, bloccato e impigrito dall'estate, ritrova le energie e riaffiora oltre la superficie delle incombenze del vivere quotidiano, della noia dell'abitudine e delle scadenze da evadere. Ascolto il silenzio della natura, proseguo fino alla fine del bosco e mentre mi spingo verso l'ultima cascata non posso fare a meno di sorridere al pensiero delle infinite sfumature di luce di questo nuovo inizio.

A

sabato 30 agosto 2014

Normandie landscapes

Il nostro viaggio in Normandia distillato in immagini e suoni da M.


Normandia 2014
© Sottofondo pills