Domani saranno due anni
di vita qui a Parigi: un intervallo di tempo insignificante se
comparato all'immortalità di questa metropoli. Insignificante, ma
sufficiente per osservarla, dettaglio dopo dettaglio, respirarne
l'aria satura e vederla cambiare.
Per me Parigi è sempre
stata una città di transizione, un incrocio di mille mentalità: il
mondo degli altri, insomma.
Superata la prima
(patologica) luna di miele, della serie
“chefigoqui-inItaliafatuttoschifo”, ho tentato più volte, da
buon spettatore, di avvicinarmi al palco di questa realtà
transalpina, sbagliando molto spesso e cambiando profondamente. Uno
spartiacque indelebile che, volente o nolente, mi ha costretto ad
azzerare molte cose, a ricominciare sovente da capo.
Sono passati due anni, ma
da oggi per me Parigi non sarà più la stessa, stavolta per davvero.
In questi giorni sono
accadute cose incredibilmente più grandi della nostra quotidianità
fatta di occhi assonnati, isteriche camminate nei corridoi della
metro ed emicranie davanti al computer.
Cose troppo grandi e
prepotenti per non dire nulla, anche se in mezzo alla bolgia
infernale dei social network, dei veleni e degli opinionisti da 160
caratteri, la paura di risultare banale è davvero forte.
Dispiace anche dover
rispolverare questo blog abbandonato più di un anno fa, come tante
buone intenzioni, in occasione di una tragedia come quella di Charlie
Hebdo, ma evidentemente è così la vita: la passiamo accelerando il
nostro tempo, accorgendoci delle cose importanti solo a badilate in
faccia.
Dannazione a me.
Qui
però c'è la paura, anzi, forse più di una, e mi turba pensare che
ce ne voglia per forza una per dover esprimere un'opinione. La paura
si adatta alle scelte che si vogliono fare, come decidere se restare
barricato in casa per la paura di essere fucilato mentre fai la
spesa, oppure se scappare via per non farti saltare in aria.
La
paura ti da la libertà di prendere posizione, di fare la voce più
grossa. La paura ti rende improvvisamente esperto, convinto di stare
nel giusto, e molto spesso purtroppo anche supponente. La paura ti
convince di essere più intelligente e ti getta a tua insaputa nel
bordello di Internet, degli attivisti da Hashtag e delle opinioni
costruite a tavolino.
Una
corsa a sgomitate, per dimostrare a tutti che dall'alto della nostra
saccenteria, non abbiamo paura.
Personalmente più del
terrorismo mi spaventa la morte, il suo orrore, il suo mistero,
troppo grande ed inquietante per poterlo imporre ad un individuo di
qualsiasi specie: la morte come fine di ogni scelta e percezione.
E qui a Parigi, di morti
ce ne sono stati troppi in un colpo solo: morti arrivati in una
maniera talmente irreale e veloce, da non rendersene ancora
totalmente conto.
In studio da me si lavora
come sempre, si disegna, si ride a qualche battuta, ma con una ruga
tesa in più ai bordi delle labbra. Non capisco se sia una mia
impressione, ma sembra che tutti si sforzino di nascondere a loro
modo un po' di polvere sotto il tappeto, mentre fuori le sirene
cantano stridule, nel mondo degli altri.
Con la coda dell'occhio
guardo le notizie dal mio PC, nascondendo a fatica l'irrequietudine:
è più forte di me.
Colpi di fucile a
Vincennes: subito non ci credo, penso sia l'ennesima ondata di
panico, l'ennesimo falso allarme, come quello a Trocadéro. Poi la
notizia cresce, si fa prepotente, mostra i muscoli, mi torce lo
stomaco con un ghigno fra le righe, quasi a sbeffeggiarmi, perché in
cuor mio avrei fatto di tutto per sottovalutarla e tranquillizzarmi.
Richard Lenoir,
Montrouge, Vincennes: ora non la smetteranno più! Sembra di essere
tornati nel 2003. Ma che razza di giovinezza mi è capitata?
Ricevo una chiamata dai
miei genitori: hanno la voce pacata, ma cupa e hanno sentito alla
radio la notizia. Li conforto dicendo che sto bene, che sono lontano
dai casini e che tornerò a casa in bici, ma non sono del tutto
convinto dell'efficacia delle mie parole.
Esco, le sirene strillano
ed io pedalo mentre il mondo degli altri si distrugge da sé, come
avrebbe detto Giorgio Canali, che di Francia ne ha masticata un bel
po'. Nell'apparenza tutto scorre come sempre, un metro per volta, mi
fermo ad uno stop, al mio fianco Notre Dame. Penso che avrei potuto
essere dentro quel supermercato a Vincennes, penso all'orrore della
morte e rabbrividisco, mentre una turista asiatica scatta una foto
con sorriso idiota.
Il resto del pomeriggio
passa tra qualche telefonata e messaggio, seguendo la notizia in
diretta, ma è l'isteria del web e dei Social network che regna
sovrana, con i suoi paladini della Domenica, complottisti e
sciacalli: un inferno che farebbe impallidire perfino Hieronymus
Bosch.
Osservo questo spettacolo
di opinionisti improvvisati e in me nasce una seconda paura, forse
più grande della prima.
Ho come la brutta
impressione che sul vaso di Pandora non ci sia più un coperchio, ma
una sottile membrana, fatta di buonismo, patriottismo e persone che
speculano sulla morte di vignettisti che da vivi le avrebbero
sputtanate a sangue.
Persone che prendono
volentieri le scorciatoie, che odiano facile e sbandierano facile,
poi manifestano, cambiando foto del profilo.
E' una frecciata feroce
che lancio ai miei conterranei, lo ammetto, ma non credo nemmeno che
la tanto celebrata Francia sia esente da tale ipocrisia.
Anche i transalpini hanno
la memoria corta: nessuno vuole vedere che davanti questa unanimità
di facciata contro l'orrore, si nasconde una società che mette i più
deboli l'uno contro l'altro, costruendo da sé i propri nemici.
Dispiace anche vedere
come pochi giornali ricordino come Al Qaeda sia una lontana
conseguenza dell'immensa umiliazione coloniale e post-coloniale, e
che le lezioni di “civilizzazione-laicità-libertà” siano stati
dei fatti inauditi, per alcuni che hanno subito questo e ancora lo
subiscono.
A Place de la République,
simbolo di ogni grande manifestazione Parigina, sono in centinaia a
volersi arrampicare sulla statua della Marianne per gridare “Liberté
d'éxpression!”: é un mantra sacrosanto, che non rinnegherei mai,
ma non credo sia questo il problema.
Il problema è non far
crescere persone talmente prive di speranza, da ridursi a non avere
alcuna ragione, se non quella di ammazzare le persone in massa,
perché il fondamentalismo, di qualsiasi natura, è irreparabile una
volta impiantato.
Non è per niente facile,
ma su queste cose credo sia necessario rifletterci prima che i
pensieri deliranti, le generalizzazioni e l'odio comincino a
contaminare le persone, perché, come ho detto prima, non possiamo
più accettare di prendere una badilata in faccia per accorgerci
delle cose importanti.
E' questo il problema e
la mia paura allo stesso tempo: quando la membrana sul vaso di
Pandora si romperà, si litigherà nelle scuole e nelle case su una
cosa per la quale abbiamo litigato anche dieci anni fa, inutilmente,
dividendoci tra cattolici e no, islamici e no, fino a che, pur di non
rovinarci la digestione, faremo passare la questione di moda, prima
di risolverla.
Ed io, purtroppo, non
sono da meno.
Essere o non essere
Charlie dunque? Dopo la paura, arriva il dubbio: come posso bypassare
tutte queste polemiche, facendo qualcosa nel mio piccolo? Evitare che
l'aria di Parigi (e non solo) si avveleni ancora di più? C'é un
modo per il quale il mondo degli altri possa anche diventare il mio?
Ormai è sera, si fa buio
nel XV Arrondissement, i tre terroristi vengono uccisi in un blitz
coordinato: qualcuno canta vittoria, io no, e mi angoscio nel pensare
alla morte come risposta a se stessa.
Ho mal di testa, ma i
miei pensieri ora si concentrano su Charlie Hebdo.
Penso al disegno, alla
matita, come forma di comunicazione, come qualcosa che tiene vivi
l'istinto e l'innocenza. Perché disegnare, ricorda Vinicio
Capossela, è una cosa che tentiamo di imparare fin da piccoli, come
un gioco, e dal gioco nasce la ricerca della bellezza, che a sua
volta genera arte.
E la libertà
d'espressione è anche questo: cercare la bellezza ovunque, con la
matita o qualsiasi altro mezzo.
E con tali mezzi si
catturano le gioie ed i dolori della vita umana, per portarle nel
mondo delle idee e tradurle in arte. L'uomo usa l'arte per costruirsi
una memoria: lo può fare celebrandola o irridendola, e quest'ultimo
è il caso di Charlie Hebdo, dove gli uomini orribili, prepotenti ed
arroganti diventano piccoli, ridicoli e divertenti. La risata come
esorcismo, insomma.
Penso alle idee che non
danno preavviso, penso alla matita come generatrice di queste ultime,
penso alla matita come punto di partenza per ogni evoluzione.
Mi ricordo di essere un
giovane architetto, pure nella nostra professione tutto parte da uno
schizzo: è il seme che utilizziamo per tentare, non senza
difficoltà, errori e frustrazioni, di rendere questo mondo più
vivibile. Forse si dovrebbe impugnare un po' di più la matita ed un
po' meno il mouse nella nostra professione, per ribadire che anche
l'architettura, con il disegno, è libertà d'espressione: sarebbe un
bel modo, nel nostro piccolo, di difenderla.
Allora, dopo questo
pensiero,
mi sforzerò di riempire le pagine bianche di schizzi, osservando
Parigi scioccata nei suoi cambiamenti, entrando nel mondo degli
altri, per poterlo forse arricchire un giorno.
M