Febbraio, mi hanno detto che sei
arrivato.
Me lo ha detto la busta paga con i suoi
50 euro di trattenute e le sue tre basse cifre che in qualche modo
rendono questo paese meno diverso.
Me lo ha detto la fila davanti agli
sportelli della RATP per il rinnovo dell'abbonamento.
Me lo ha ricordato la tua lettera che
con la mente mi ha riportato a Malpensa, sotto un cielo diverso.
Era un mese, una misura temporale, ora
con i mesi misuro la distanza.
Per la prima volta senti che un po' la
terra manca sotto i piedi, non perché sei straniero-qui a Parigi lo
sono tutti-ma perché per un solo secondo ti chiedi cosa troverai,
cosa veramente hai lasciato.
Sarà un modo come un altro per farmi
dire che sono coraggioso o che sono fortunato, in realtà sono solo
incosciente. E' solo un' altra scusa per tornare a parlar di me.
Mentre vi parlo di quanto bella è
questa città, penso allo sguardo di un vecchio arabo che ho
incrociato alla Gare de l'Est questa Domenica: credo che anche lui
come me stia cercando di sentirsi una persona migliore.
Cominci ad amare la precarietà quando
passi dalla paura alla malinconia, e quest'ultima è più che
sufficiente per rimetterti in pista, mentre danzi da una stazione
all'altra. Il sapore di quest'aria lo senti già diverso, la tracolla
pesa meno sulle spalle.
L'inverno si consuma anche tra le case
malconce di Saint-Denis: un raggio di sole le trafigge e senti che il
freddo non durerà ancora per molto. E poi? Che linea prenderò?
E il tempo, si sa, è un ottimo
strumento per rimandare tutte le domande, ma non sarai tu, Febbraio,
a misurarlo per me.
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