martedì 5 febbraio 2013

Una misura temporale



Febbraio, mi hanno detto che sei arrivato.

Me lo ha detto la busta paga con i suoi 50 euro di trattenute e le sue tre basse cifre che in qualche modo rendono questo paese meno diverso.
Me lo ha detto la fila davanti agli sportelli della RATP per il rinnovo dell'abbonamento.
Me lo ha ricordato la tua lettera che con la mente mi ha riportato a Malpensa, sotto un cielo diverso.

Era un mese, una misura temporale, ora con i mesi misuro la distanza.

Per la prima volta senti che un po' la terra manca sotto i piedi, non perché sei straniero-qui a Parigi lo sono tutti-ma perché per un solo secondo ti chiedi cosa troverai, cosa veramente hai lasciato.
Sarà un modo come un altro per farmi dire che sono coraggioso o che sono fortunato, in realtà sono solo incosciente. E' solo un' altra scusa per tornare a parlar di me.

Mentre vi parlo di quanto bella è questa città, penso allo sguardo di un vecchio arabo che ho incrociato alla Gare de l'Est questa Domenica: credo che anche lui come me stia cercando di sentirsi una persona migliore.
Cominci ad amare la precarietà quando passi dalla paura alla malinconia, e quest'ultima è più che sufficiente per rimetterti in pista, mentre danzi da una stazione all'altra. Il sapore di quest'aria lo senti già diverso, la tracolla pesa meno sulle spalle.
L'inverno si consuma anche tra le case malconce di Saint-Denis: un raggio di sole le trafigge e senti che il freddo non durerà ancora per molto. E poi? Che linea prenderò?

E il tempo, si sa, è un ottimo strumento per rimandare tutte le domande, ma non sarai tu, Febbraio, a misurarlo per me.

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