domenica 28 aprile 2013

EDIZIONE STRAORDINARIA - AUSTRALIA

Sono a circa 16.000 km da casa, un viaggio lungo, 24 ore esatte per arrivare qui, nella terra dei canguri. Il primo giorno mi si leggeva in faccia il mio senso di smarrimento, vuoi per il fuso, vuoi perché mi sentivo fusa. Sydney era lì, che mi aspettava, ma il tempo di certo non mi avrebbe aspettata e le ore a disposizione non erano molte. Vedere con i miei occhi luoghi sempre visti su libri, giornali o tv crea in me una strana sensazione, forse viene meno lo stupore, ma non manca la gioia di esser lì e di esserci arrivata da sola. Mi verrebbe quasi da definirlo come un luogo senza storia, ma sarebbe un errore perché ce n'è, solo ben diversa da ciò che noi siamo abituati.
L'azzurro è il colore che ho sempre davanti a me. Vedere oceano e cielo che si fondono all'orizzonte mi trasmette una calma che da tempo non provavo. Forse era proprio questo ciò di cui avevo più bisogno, anzi, il forse lo posso pure lasciar perdere. Girare qui significa vedere una grande città sviluppata intorno ad un centro costituito da grattacieli, ma appena si raggiunge la periferia tutto cambia: centinaia di chilometri di terre aride, ogni tanto un piccolo paesino e l'unica domanda che mi sorge spontanea è "ma come fanno a vivere lì?". Trovarmi ad Adelaide mi ha fatta sentire quasi a casa. Finalmente anch'io ci sono stata, ma se c'è una cosa che mi è chiara è che non fa per me stare così lontana dall'Italia. Eppure i nonni c'erano riusciti.
Un giorno qualcuno mi chiese cosa volessi fare da grande, ma la risposta precisa ancora non ce l'ho. Forse è già una conquista sapere cosa non voglio. In queste settimane staccare la spina, non aver pianificato praticamente nulla, non avere orari, non avere qualcun altro da aspettare o da non dover fare aspettare, non avere scadenze, non avere tempi da rispettare mi ha come liberata. Gli ultimi anni sono stati così, ma ora un capitolo è chiuso. Tra pochi giorni torno e ce n'è uno nuovo da iniziare a vivere, senza dimenticare ciò che diceva Aldous Huxley: “C’è solo un angolo dell’universo che puoi essere sicuro di migliorare, te stesso".
Giada Pivotto

martedì 23 aprile 2013

Mi trascino

La Parigi che non ti aspetti. La Parigi che avevi sempre immaginato e nella quale magicamente ti ritrovi immerso. La Parigi dei bistrot, degli artisti di strada e dei parchi gremiti di persone. La Parigi romantica e sognatrice. Queste le immagini che conservo della parentesi francese appena terminata. 

Per l'ennesima volta ho preso la mia valigia rossa e l'ho caricata a bordo di un aereo qualunque per raggiungere il mio M in terra straniera. Questo 2013 può essere eletto l'anno degli spostamenti e delle migrazioni, degli addii e degli incontri, dell'attesa e degli abbracci. Un anno intenso. E siamo solo (o già?) ad aprile. Forse questa fuga d'oltralpe è arrivata nel momento giusto, per attutire lo spaesamento- da- reinserimento, non so; fatto sta che avevo bisogno di un momento da dedicare a me...a noi. Ora ho la sensazione di non aver solo visitato la città, ma di averla vissuta, senza essermi fermata alla superficie o alla Gioconda. Abbiamo passeggiato nei parchi improvvisando improbabili pique- nique, riso di qualsiasi cosa con spensieratezza e goduto del rarissimo sole parigino. 

Avevo pochi ricordi della città, quasi dei flash; per questo è stato come se la vedessi (vivessi) per la prima volta, ma allo stesso tempo la sentivo mia ad ogni passo e ad ogni parola. Ero affascinata e rapita dalla bellezza e dalla ricchezza di ciò che incontravo, del suo significato storico.
Cercavo di immaginarmi le stesse strade nell'ottocento, anzi, a fine settecento, prima che il Barone rivoluzionasse l'assetto urbano della ville lumière. Mi sono chiesta che volto avesse questa città al tempo degli artisti le cui opere abbiamo ammirato nelle sale dei musei, cosa significasse per l'epoca vivere qui, quando non era ancora stata costruita la Tour Eiffel e si organizzavano grandi balli al Mulin de la galette. Mi chiedo cosa significasse Parigi per Modigliani o per tutti gli altri italiani che qui avevano deciso di emigrare; chissà se questa città conserva ancora oggi tutta la sua forza attrattiva. Certo, è facile rimanerne affascinati, soprattutto se sei giovane, sognatore e magari anche amante dell'arte. Parigi travolge, seduce e ammalia. Ti fa sentire libero. Sarà l'effetto della grande città, amplificato ancora di più per noi che siamo cresciuti in un paesino da ottomila abitanti, per certi versi troppo stereotipato e limitante. 

E' stato bello immergersi nell'atmosfera sognante di Parigi, insieme, facendosi inghiottire di tanto in tanto dal mondo sotterraneo oppure arrampicandosi su ripide salite per godere di panorami urbani mozzafiato. E' stato bello rientrare a casa la sera con i piedi doloranti ma con gli occhi colmi di tanta bellezza degna di una capitale culturale europea. 

La scorsa settimana mi sono innamorata due volte. Ora è tremendamente difficile ritornare alla vita di sempre, intendo quella precedente ad Hanoi. Il fatto è che quando viaggi, bene o male, lo fai perché ti sta stretto il contesto nel quale solitamente sei inserito, perché hai voglia di conoscere altro, anche se non sai bene definire cos'è questo "altro" che cerchi. Poi torni e non puoi fare a meno di cadere in confronti e paragoni, tanto interessanti quanto dilanianti. Non dovrei essere felice delle esperienze fatte? Non dovrei esserne fiera? Non dovrei aver voglia di un po' di stabilità dopo questo inverno intercontinentale? Non dovrei dare valore a ciò che ho?



A