venerdì 29 marzo 2013

Vietnamese days

E così scrivo il mio ultimo post vietnamita. Ho chiuso tutte le mie cose -vecchie e nuove- dentro alla valigia, ho guardato per l'ultima volta il West lake ed i suoi pescatori dalla terrazza del quarto piano ed ho ascoltato la canzone delle partenze.
 

È da circa due settimane che mi preparo a questo momento e se penso al tempo trascorso qui, posso serenamente dire di aver goduto di ogni attimo negli ultimi tre mesi, senza strafare e senza “sprecare nulla”, come mi diceva M il 3 gennaio all'aeroporto. Tempo di bilanci, quindi. Ora credo a chi mi diceva “non farai nemmeno in tempo a disfare la valigia”, oppure “vedrai come voleranno tre mesi”. Infatti i giorni sono rotolati via uno dopo l'altro con la stessa facilità con cui il gelo dell'Inverno ha lasciato spazio alle domeniche assolate di Primavera, in cui era vietato rimanere a casa.

E così terminano anche questi vietnamese days, come direbbe Orwell, così densi di incontri e scoperte, quasi è difficile riordinare i ricordi e pensare ad una cronologia di avvenimenti completa. Sì, mi sento serena e tranquilla pensando al ritorno. È un momento delicato tanto quanto la partenza, anche se spesso sottovalutato. Voglio concentrarmi anche su quest'ultimo, prezioso, attimo, anche se il pensiero per le persone che incontrerò e che abbraccerò di nuovo dopo tanto tempo è incontenibile. Per questo mi sento inquieta e divisa a metà tra impazienza  fuori controllo e malinconia pervasiva.Ma più di tutto c'è questa serenità che mi avvolge, quasi irreale per quanto rara.

Come ho ripetuto più volte, credo di non aver mai provato prima d'ora tanta tranquillità. Ho quasi paura d'andarmene perché non voglio perdere questa sensazione, non voglio lasciarla dissolvere. Mi auguro che ormai sia diventata parte di me così da poterla trasferire anche dall'altra parte del mondo, affrontando con tale stato d'animo qualsiasi situazione futura.


E così è tempo di rientrare, finalmente. Ma so già che prima o poi tornerò qui, in Vietnam, per assaporare tutto ciò che mi sono lasciata sfuggire, anche se ho fatto di tutto per esaurire la lista delle cose da fare durante i miei giorni liberi. “A presto”, pensavo mentre sorseggiavo una limonata al tramonto; “a presto” dicevo alle donne del mercato di Xuan Dieu, “ci rivedremo”, mi dicevo mentre salutavo il pescatore in bicicletta, quello che mi aspettava ogni giorno all'angolo della strada.

A

 



mercoledì 27 marzo 2013

Music for Airports

Anna ritorna: in quasi tre mesi si è persa e si è ritrovata. 

Un pezzo di Hanoi ora viaggia verso l'Italia con lei, e me lo mostrerà oltre la patina delle sue foto. 
Chissà come sarà, chissà se la troverò cambiata. Potrei dire tutto e niente

Anch'io fra un paio di giorni come lei prenderò l'aereo: l'unico mezzo che può portarti in capo al mondo e allo stesso tempo portarti nella terra di nessuno, dove tutto è ovattato e apparentemente infinito. 

Mi hanno sempre incuriosito gli aeroporti, la loro concitazione e temporaneità: è una sensazione con la quale pure noi funamboli abbiamo imparato a convivere, come una valigia che, riempiendosi, paradossalmente risulta sempre più familiare e leggera.

Più penso ad Anna, più ascolto questo disco di Brian Eno: spiega meglio di tante altre cose il viaggio. Sia andata che ritorno.


Bentornata a casa, Anna.

M

sabato 23 marzo 2013

23 Marzo


Forse anch'io come Anna dovrei scusarmi del ritardo, visti i miei sporadici interventi nelle ultime settimane, ma anche da questo lato del Mondo serve prendere il tempo per assorbire le cose. 
Nel mio caso, credo che concretamente ci siano voluti quasi due mesi, e certamente non sono ancora sufficienti per prendere la giusta distanza dall'Italia e la giusta vicinanza a Parigi. 

E Parigi non è la Francia, ma una serie di frammenti di umanità riuniti in un unico grande esperimento. 

E pure io mi ci sono buttato come cavia, senza troppo pensarci, perché dalle stronzate ogni tanto nasce qualcosa di buono. "Le grand rêve Parisien", mi piace chiamarlo, come una specie di alternativa europea al più commerciale "American Dream": ci si prova, si sbatte il naso, ci si riprova. 

Pensavo di sentire più mancanza del Veneto: evidentemente azzerare le cose mi ha fatto bene, e se poi passi dalla noia di una terra ferma da vent'anni ad un porto dove mille culture s'incontrano per lasciare il loro permanente segno l'effetto interiore è devastante. 
E' un pensiero che mi martella ogni giorno, da quando apro il cancello ghiacciato della "Maison Accurso" ed un cielo sempre velato mi accoglie. 

"Les soleils mouillés. 
De ces ciels brouillés. 
Pour mon esprit ont les charmes. 
Si mystérieux."


Più recito Baudelaire, più penso che questo lungo inverno mi ha dato le giuste condizioni climatiche per riflettere in mezzo alla concitazione di una metropoli. 
Ma il cancello si chiude ed abbandono dunque quel sottile confine tra due stati mentali: ciò che sono, e ciò che sarò. Il ritmo accelera, arriva il rumore della strada, del traffico e dell'elettricità: tutti camminano veloce, masticano un assonnato "B'nj'r", ed aspettare dieci minuti un bus è un fatto inaccettabile. 
Non c'é tempo! Abbiamo una città da conquistare! Un posto anche per noi! Dalle colline di Nanterre e Mont-Valerien scendiamo alla conquista di Parigi, allez-y! E "crisi" per il momento è solo una parola in fase di studio.

E poco importa se nel bus non si respira, se tutti spingono. Nessuno si lamenta: la testa è altrove, nel proprio lavoro, in qualche futuro incontro, nella voglia di migliorare. Un paio si sgomitate, un "pardon" e si va avanti. 

Una bolgia infernale la Metro: guai perdere il passo! Al suono della sirena ci si fionda dentro le porte, come i veri Parigini, fatti ormai con pelli ed occhi di tutte le forme e colori.  
Terra d'immigrazione e competizione feroce, ed io ci sono dentro fino al collo. 


Prove tecniche di futuro, di stress e di maturità, anche al lavoro, tra veloci caffé e Chef de projet che s'incazzano per il tuo pessimo francese. Ogni angolo, ogni attimo nasconde una possibilità, un contatto forse, una possibilità di acculturarti per archiviare un' adolescenza passata tra capannoni e letame. 
Quanto piccolo e insignificante è il Veneto rispetto ai progetti che affronto ogni giorno, nei quali le mie stesse origini insignificanti mi costringono a ricominciare tutto da capo, come se fosse il primo giorno d'asilo.




E' questo che assorbo: la velocità, la bellezza del cemento armato, il costante mal di testa per le mille cose che vuoi programmare, vedere, leggere, o semplicemente sognare. 

Ora che Aprile è alle porte le giornate si faranno più lunghe e da Bastille prenderò la prima linea buona per passeggiare lungo i canali di Saint-Martin, convertendo le illusioni in realtà, anche con pochi soldi in tasca. 




E con le gambe stanche respirerò profondamente Parigi intera, mutandomi anch'io in un suo frammento.


M

lunedì 18 marzo 2013

Roads


Strade, proprio come quelle cantate dai Portishead.
Loro, assieme ai C.S.I., possono tranquillamente essere considerati la colonna sonora di questo mio viaggio. “I got nobody on my side, and surely that ain't right, surely that ain't right”... esco con la macchina fotografica senza studiare una meta predefinita, mi lascio guidare da loro, le strade. Succede sempre così, ma non mi lamento; mi piace sentirmi trasportata dall'energia della città. E Hanoi ne ha da vendere, anche se là fuori assomiglia più che altro ad una giungla intricata di motorini, taxi e biciclette, dove non basterebbero nemmeno ventisette occhi. Insomma anche oggi ho rischiato la vita almeno in tre occasioni.

Ogni volta che decido di fare una passeggiata va a finire che me ne sto a vagabondare per 4 o 5 ore almeno. E torno, la sera, stanca morta, così che salire le sei rampe di scale che mi separano dalla mia stanza diventa uno sforzo disumano. Solitamente vago senza avere un'idea precisa di dove sono, sperimentando una strada diversa alla settimana; la sfida è quella di orientarsi, ma ormai mi sto rassegnando a tornare in Italia senza aver vinto questa scommessa- anche perché il più delle volte dimentico la mappa a casa e sono così costretta ad affidarmi al mio fiuto che, com'è noto, non sempre è attendibile. 

Pomeriggio dolce assolato terso”... sono davvero rare le giornate limpide, qui. Il più delle volte il cielo è bianco e denso di nuvole; nebbia con pioggerellina fine e leggera, impercettibile ed inevitabile, tanto vale non farci caso e continuare a camminare. Comunque questa luce opalescente fa risaltare ancora di più le ombre, per cui l'atmosfera è ideale per fare qualche scatto... “dense sfumate nuvole di piombo”. Non è mai successo che mi annoiassi durante le mie passeggiate, quando sono in giro accade sempre qualcosa di particolare o anomalo che cattura la mia attenzione e mi tiene incollata nello stesso posto a lungo. Una bambina che vuole giocare con me nel piazzale del Mausoleo di Uncle Ho, un artista che mi permette di rimanere lì ad osservarlo mentre crea, oppure una cerimonia in una pagoda. Quando mi trovo nello stesso luogo assieme a tanta altra gente, per esempio sull'autobus o dentro ad un tempio, cerco di immaginarmi la provenienza e la storia di queste persone. Mi scopro a fantasticare sulla loro quotidianità e sui loro pensieri, ma è un'abitudine che non nasce qui in Vietnam, ho sempre avuto la mania di vaneggiare sulle vite degli altri, per questo non è così improbabile che anche voi mi sorprendiate con lo sguardo perso e la mente assente, di tanto in tanto... “Memorie e passi d'altri ch'io calpesto, su stanchezze di secoli in alterna cadenza”. 

Così trascorrono molte ore dacché sono partita, come se di colpo, assieme al chiarore del giorno, scendesse anche tutta la stanchezza dei chilometri macinati zigzagando nel traffico... “s'avvia verso la sera il pomeriggio”... e le gambe tremano, l'umidità appesantisce l'aria e anche la mia testa. Evito il quartiere vecchio, troppo chiassoso per me stasera, mi siedo ad un bar ed ordino una limonata. Fresca, dissetante, appagante. Mi rilasso... “rallenta il mio respiro, scende in profondità, si adatta al soffio del mondo”... e, almeno per ora, cerco di non pensare alle sei rampe di scale.


A




martedì 12 marzo 2013

Le Rital


Camminando su e giù per questa città, gioco ingenuamente a fare il Parigino, ma per quanto questo divertimento duri, rimango sempre un italiano. 
E lo rimarrò certamente, per quanto io possa lavorare sul mio accento.

Due settimane fa mi sono presentato ad un amico di un collega: "Je suis Matteo, italien!". Lui mi ha risposto: "Desolé! je comprends, c'est une grave maladie!". La cosa mi ha fatto ridere ma non troppo. 

Oggi mentre stavo alla posta (e l'impiegata non capiva molto bene cosa volessi) ho pensato alla marea di conterranei fuggiti in questo paese e al fatto che fuggire da essi è un pò difficile. 

Ma ciò che mi diverte è che i Francesi hanno coniato un nome per definirci: "Les Ritals"

E' un'espressione dell'Argot (lo slang francese) che un tempo risultava assai offensiva ma che oggi, quando gli sfigati in Francia non son più gli italiani, è decisamente neutra, anzi è diventata quasi simpatica.

I transalpini ancora adesso discutono sulle origini di questo termine, ma la teoria dominante sembra essere legata al fatto che tutti gli immigrati italiani facessero fatica a pronunciare la erre "alla francese". 
Questo accade ancora adesso, ed il sottoscritto ogni tanto si ritrova con la lingua annodata, con grande ilarità dei miei colleghi. 

La cosa finisce qui però: ormai sono altri i problemi per poter soffermarsi sugli stereotipi, la strage di Aigues Mortes, dove nove italiani vennero assassinati, una cinquantina feriti e quindici fatti sparire nel nulla a seguito di un attacco di violenza xenofoba collettiva è (per fortuna e purtroppo) caduta nel dimenticatoio, e nemmeno i francesi hanno più tanto il tempo per prenderci in giro.

Ci pensò già Claude Barzotti nel 1983, e la canzone è una perla imperdibile del trash: buon ascolto, se ne avete il coraggio!

M


martedì 5 marzo 2013

Scusate il ritardo

È vero, questa è una delle frasi che pronuncio più spesso nella mia vita. Il punto è che non so davvero da dove partire per raccontare della scorsa settimana. Certo, pensavo, avrò bisogno di qualche giorno per rielaborare e poi sarà tutto più chiaro. Illusa. È impossibile classificare sensazioni e sguardi! Attimi! Sarà stata tutta questa confusione che mi ha fatto ammalare?

Dopo questi giorni trascorsi ad An Lac, uno dei villaggi dove GTV lavora, sento di aver cominciato a capire senza soffermarmi semplicemente ad osservare. Certo, ho preso appunti come una matta, ho annotato, aggiunto e poi corretto. Alle volte ero costretta a ricorrere al registratore perché non era umanamente possibile appuntare tutto ciò che avrei voluto. Pensavo mi avrebbe aiutata a diventare più consapevole di ciò che mi circondava e chissà se, tra qualche mese quando riascolterò e rileggerò tutto, sarà davvero così. 

Siamo stati ospitati da Mr Tu e sua moglie, due persone eccezionali. Lui, quasi sessant'anni e un pizzetto grigio disordinato. Lei, qualche anno più giovane e una lunga treccia nera che le arriva in fondo alla schiena. Entrambi hanno un passato complesso, che ha inevitabilmente a che fare con la guerra. L'hanno vissuta sulla loro pelle, prima da bambini e poi da soldati, come testimonia una vecchia fotografia appesa sopra l'altare degli antenati. Ascoltare i loro ricordi mi ha fatto sentire parte di un momento unico, spettatrice di un qualcosa di speciale. Adesso che i figli sono grandi si godono la natura che li circonda, allevano maiali e coltivano piante e verdure. Una vita semplice e gratificante, condivisa con i turisti che desiderano trascorrere una notte nella loro casa. Stavolta i turisti eravamo noi, anche se per loro le nostre facce non sono nuove, anzi, mentre sedevo davanti al fuoco sgranocchiando una pannocchia arrostita avevo proprio l'impressione di stare in famiglia.


Ho incontrato molte persone, ho guardato le loro mani incallite e rugose, testimoni del tempo che scorre; ed ho ringraziato, sì proprio così, ho ringraziato che potessero regalarmi un po' del loro tempo per parlarmi della loro vita. Ho riempito gli occhi ed il cuore di immagini e le mie mani hanno accarezzato molte altre mani assetate di contatto. E lo sguardo... quante cose si possono dire solamente con lo sguardo! Grazie a quei giorni nella foresta ho riscoperto il valore della vita semplice, guidata dalle piccole cose, del silenzio e di tutti i significati che può avere. Mi sono lasciata trasportare dalle parole di chi desiderava condividerle con me, senza forzature, senza sguardi preoccupati all'orologio, semplicemente lì, in attesa. 

Ed ho incontrato. Ed ho raccolto.


A