mercoledì 27 febbraio 2013

Ce sont des choses qui se passent


L'altro giorno ha di nuovo nevicato. Merda. Ed è il 27 Febbraio.

Perchè è così l'inverno: carogna fino all'ultimo. Ti illude con un paio di giorni di sole (un lusso a Parigi), mentre tu per la gioia ti rechi in pausa pranzo al Viaduc des Arts con una galette in mano, e poi torna a tuonare, quasi per dire "ci sono ancora, che ti piaccia o no".

Anche in Italia si pensava fosse primavera, poi è ritornato il gelo.  
E ha fatto male. 

Mi hanno detto che da voi invece c'era una notte stellata, ma le stelle sono fatte per i sognatori, non per i qualunquisti. Al massimo questi ultimi si meritano quelle di cartone, magari disegnate sull'ennesimo simbolo da venerare. 
"Ce sont des choses qui se passent" penso, ma so che è l'ennesima cazzata che tento di raccontare a me stesso, come quelle che leggo sul web, condite di caos e veleno pronti ad arrivare fin qui. Quando leggo di persone che vogliono fare le valigie a stento trattengo una smorfia d'ironia: che abbia dato il buon esempio? Almeno so di averlo fatto più per curiosità che per disperazione.

Mi chiedo dopo questa mazzata di elezioni quale sia veramente la mia casa: ho pure cominciato a pensare che qui in Francia così male non si sta. Forse non sono di passaggio, potrei giocarmela un pò. Potrei almeno provarci. "Je travaillerai avec application" ho detto oggi al mio chef de project, lui mi ha consigliato di aggiornare il mio CV, "on ne sait jamais". Farò sparire anche il mio ridicolo accento un giorno. 

E tu mi seguirai? Quando arriverà la primavera a seppellire questo inverno bastardo sceglieremo insieme la carta da parati per il nostro appartamento in affitto e la domenica staremo nei parchi. Poi ogni estate torneremo in Italia, giusto per fare un giro in giostra, diremo a tutti i nostri amici che la pizza è buonissima e che i paesaggi sono mozzafiato. 

Purtroppo solo quelli. 


sabato 23 febbraio 2013

La vigilia delle elezioni



Stasera non riesco a sentirmi distante dall'Italia. 

Non ci riesco perché anche qui l'atmosfera pesante come un macigno delle elezioni arriva e mi procura un senso di frustrazione non indifferente.  

Frustrazione perché non riusciamo a passarne la vigilia senza polemiche, senza incazzature e senza alcuno sforzo di sognare. Dicono che dovrei lasciar perdere, pensare a godermi il tempo qui, ma stasera no, mi rifiuto.  

Sarò ingenuo? Può essere, ma essere distaccato ed imparziale non mi piace quando questo diventa un espediente per dire tutto, ma non dire mai niente. 
Proprio no. 
Stavolta rischio.

A parlare male siamo bravi tutti, a prenderci la responsabilità di una scelta molto meno. Sinceramente vedo la stessa ingenuità tra chi vota PDL e M5S. 

Il vero cancro del mio paese non sono i partiti o quelli "tutti uguali", ma il qualunquismo e l'accettazione pre-razionale di ogni contenuto politico: B. e il suo ventennio ne sono solo una conseguenza. 
Purtroppo le rivoluzioni sfruttano anche una base ignorante, per poi divorarsi i suoi figli come Saturno. 

I rivoluzionari Francesi che condannarono Maria Antonietta erano un fabbro analfabeta ed un panettiere improvvisati come "avvocati", che inventarono un capo d'accusa per portarla alla ghigliottina. Cosa portò poi tutto questo? 

Sarete ancora capaci di consegnare tutto a "chi-sapete-voi" con il vostro impeto da Sanculotto della Domenica?
Tempo fa dissi ad un amico che avrei voluto svegliarmi in un altro paese, oppure continuare a dormire. Beh, è da un pò che la prima cosa accade, ma ho come l'impressione che dovrò desiderarlo per ancora un pò. 

Ecco l'ho detto, ma temo di essermi trattenuto anche stavolta. Pazienza. 

Auguri Italia. Buon voto. Con le ghigliottine o meno, mi mancherai lo stesso.




M

mercoledì 20 febbraio 2013

Le cose che mi fanno sentire integrata


Ci sono alcuni momenti, mentre cammino per strada, in cui mi sento proprio sicura. Sì, insomma, alle volte mi sembra di essere qui da sempre, al punto che anche le difficoltà linguistiche sembrano scorrere in secondo piano.
A dirla proprio tutta, nei giorni scorsi ho iniziato ad annotare una lista delle “cose che mi fanno sentire integrata” e mano a mano che ripensavo alla mia quotidianità, l'elenco si è allungato, fino ad ottenere questo risultato:

  • manovrare i chopsticks con disinvoltura;
  • dire “io vivo qui”;
  • camminare piano sotto la pioggia, senza ombrello;
  • attraversare la strada con cuore impavido;
  • comprare il caffè al negozio equo e solidale che ho scovato;
  • prendere quella scorciatoia che mi fa arrivare prima al lavoro;
  • dimenticarmi di bere acqua per un'intera giornata;
  • fermare un taxi... ma quello “giusto”;
  • incontrare lo stesso pescatore ogni giorno alle 17.40 il quale, dopo avermi salutato stringendomi la mano, mi prende sotto braccio e camminiamo, così, per 5 metri, finché lui non si gira e torna indietro;
  • prendere il bus;
  • fare la spesa “tattica”, ovvero cosa comprare e dove;
  • trattare sul prezzo: mai accettare alla prima offerta;
  • sapere come presentarmi in vietnamita;
Nella foto: si accendono le luci sul West Lake.
A

venerdì 15 febbraio 2013

La percezione delle cose


Qual'é la vera percezione di un luogo? Come si arriva a questa consapevolezza? Sono delle domande che mi martellano da qualche giorno a questa parte. Penso di essere arrivato in una fase nella quale conta più ciò che si sente rispetto a ciò che è presente, ed ora che ho imparato ad interpretare il ritmo della vita Parigina, voglio capire come si vive una città, come s'interpretano i suoi luoghi.
Il mio terrore è fare il turista, non riuscire ad intaccare la superficie liscia delle cose. Personalmente odio i turisti, con le loro scarpe da jogger della domenica, la loro bocca mezza aperta (segno che non stanno capendo nulla) e i loro libri-guida pieni di stereotipi. Li detestavo quando vivevo a Venezia, qui ancora di più. 
Ammetto che sia un pensiero antipatico, ammetto che dal mio punto di vista è facile giudicare in questo modo, ma come le pietre di Venezia, le rues Parigine richiedono un rispetto al limite del sacro e un tempo che non va discusso. Un turista è troppo superficiale, forse non è nemmeno colpa sua, ma pretende di conoscere il luogo senza sentirlo, ma solo osservandolo: è come se tu volessi corteggiare una donna pretendendo di baciarla subito. 

Pure io sono caduto qualche volta in questo errore, quello di soffermarmi sulle cose con un naso troppo all'insù, ma ora ho un'occasione talmente grossa tra le mani, che solo l'emozione può farmi perdere. 
Allora lascio a casa ogni dizionario o libro (a parte quello da leggere in metro) e salto da una stazione all'altra, assaporandone la loro staticità rispetto alla quotidiana concitazione. Mi ritrovo completamente spaesato in rue Monsieur le Prince, dove due americani gestiscono un negozio di libri usati, ci passano anche la domenica in quel negozio, come se fosse la loro casa. Non parlano una parola di francese eppure vivono a Parigi da una vita, insieme alle pile di libri e vhs impolverati, come frammenti di un'America troppo distante. Per un attimo mi sento un loro amico e non un semplice cliente: la lontananza ci accomuna. 


Ma senza accorgermene mi ritrovo a fare due passi da Stalingrad fino all'Espace 104, ex obitorio cittadino trasformato in chiassosa piazza piena di eventi e installazioni artistiche. Incontro Eva, una collega che abita qui già da tre anni e lo fa ben notare con un francese spedito, quasi da hostess. Vedo stanchezza nei suoi occhi: non capisco se sia veramente felice oppure le manchi qualcosa. Lavora in un piccolo studio vicino a Père Lachaise: mi parla di lunendì mattina, di lavori en charrette, e dopo quasi un mese, parlare con lei mi fa sentire per la prima volta distante da casa. Mi chiedo come fosse la sua vita prima di arrivare qui. Sento che purtroppo ventisei anni di amicizie e abitudini non potranno essere rimpiazzati facilmente dalle opportunità che cerchi. 


Però il bello della precarietà è che mette tutti nella stessa barca, con lo stesso impaccio. Non dico sia una situazione di totale fraternità, ma ciò che ti accomuna è la voglia di conoscersi, di capire e a volte di chiedere aiuto. Perché si ricomincia tutto da capo, credendo, da poveri illusi, di sapere già qualcosa. 

Credo che Parigi sia stata costruita anche sulle certezze abbandonate, quelle che da clandestino piano piano ti portano a sentirti una cittadino, non solo italiano, ma per la prima volta europeo. Sarò ingenuo, ma non credo esistano tanti altri posti dove sia possibile vedere un collega Tunisino raccontare la propria storia alla mia vicina di scrivania Islandese. E allora la percezione delle cose cambia davvero, non ti interessa più osservare, ma vuoi solo sentire le mille storie di questa città, saziartene fino allo sfinimento e chiederti in maniera nervosa dove diamine stavi prima. Ormai non sono più un turista.
Sento che gli sguardi e le parole delle persone che mi circondano valgono più di mille musei.  

Saranno sufficenti quattro mesi per capire tutto questo? Al futuro non ci penso, sarebbe un'eresia farlo ora. Mi adatto al tempo che questa città vuole scandirmi, per poterla capire, per portarle rispetto. 

Io cambierò con lei.

M

domenica 10 febbraio 2013

Dan


La prima cosa che mi colpisce di lui è la concentrazione con cui se ne sta ricurvo sul foglio, bianco, in contrasto con il nero che utilizza per lavorare e ancora di più con il vociare dei turisti che entrano ed escono dalla porta del n° 87 di Ma May street. Oggi sono capitata qui e un po' per caso scopro un quartiere vivo e rumoroso, frequentato principalmente da backpackers e venditori ambulanti. Ma non sono qui senza motivo, no. Qualche giorno fa, curiosando nella guida del Vietnam, ho letto di una casa tradizionale vietnamita dell'Ottocento che è stata restaurata e aperta al pubblico, in cui si possono osservare gli elementi architettonici e di arredo di un'epoca ormai dimenticata, visto che la modernità e la globalizzazione hanno avuto la meglio anche qui.
Lo noto quasi subito e, ignorando la custode che mi invita a salire le scale per visitare subito il piano superiore, vado dritta verso di lui, ammaliata dal suo essere completamente e stupendamente estraniato dal contesto. Infatti non si accorge nemmeno della mia presenza, se non quando inizio a fargli domande sui suoi disegni, su cosa rappresentino. Temo di infastidirlo, ma lui si alza e si avvicina a me, sicuramente sente odore di una potenziale acquirente, ma è un pensiero a cui non do grande importanza. Iniziamo a parlare e lui mi descrive ciò che vede con i suoi occhi e che cerca di trasmettere attraverso la sua arte.

Nguyen Ba Dan è nato il 22 dicembre del 1940 e tutto ciò che so di lui è che è un artista incredibile. Penso di essere rimasta un'ora, incantata, ad osservarlo disegnare. Abbiamo parlato, mi ha chiesto di dove sono, quanti anni ho, perché mi trovo in Vietnam. Ho accostato una sedia alla sua e sono stata lì, semplicemente, in attesa di ciò che lui avrebbe avuto voglia di condividere con me. Viaggiare soli fa fare di questi incontri e soprattutto annulla la fretta di andare in posti diversi da quelli in cui si desidera essere. È esattamente questo che mi è capitato con Dan, l'annullamento totale della frenesia accompagnato alla magia dell'attesa.





 
A
 

martedì 5 febbraio 2013

Una misura temporale



Febbraio, mi hanno detto che sei arrivato.

Me lo ha detto la busta paga con i suoi 50 euro di trattenute e le sue tre basse cifre che in qualche modo rendono questo paese meno diverso.
Me lo ha detto la fila davanti agli sportelli della RATP per il rinnovo dell'abbonamento.
Me lo ha ricordato la tua lettera che con la mente mi ha riportato a Malpensa, sotto un cielo diverso.

Era un mese, una misura temporale, ora con i mesi misuro la distanza.

Per la prima volta senti che un po' la terra manca sotto i piedi, non perché sei straniero-qui a Parigi lo sono tutti-ma perché per un solo secondo ti chiedi cosa troverai, cosa veramente hai lasciato.
Sarà un modo come un altro per farmi dire che sono coraggioso o che sono fortunato, in realtà sono solo incosciente. E' solo un' altra scusa per tornare a parlar di me.

Mentre vi parlo di quanto bella è questa città, penso allo sguardo di un vecchio arabo che ho incrociato alla Gare de l'Est questa Domenica: credo che anche lui come me stia cercando di sentirsi una persona migliore.
Cominci ad amare la precarietà quando passi dalla paura alla malinconia, e quest'ultima è più che sufficiente per rimetterti in pista, mentre danzi da una stazione all'altra. Il sapore di quest'aria lo senti già diverso, la tracolla pesa meno sulle spalle.
L'inverno si consuma anche tra le case malconce di Saint-Denis: un raggio di sole le trafigge e senti che il freddo non durerà ancora per molto. E poi? Che linea prenderò?

E il tempo, si sa, è un ottimo strumento per rimandare tutte le domande, ma non sarai tu, Febbraio, a misurarlo per me.