lunedì 20 gennaio 2014

In un'altra vita

Ogni tanto mi piace aprire casualmente l'agenda dell'anno precedente e leggere cosa facevo oggi, esattamente 365 giorni fa. Cerco di ricordarmi sensazioni e umori, le parole dette alle persone incontrate esattamente quel giorno di un anno prima. Mi è capitato anche oggi, mentre scrivevo freneticamente qualcosa per non so chi. L'impulso è stato talmente forte che ho dovuto lasciare tutto in sospeso e mettermi alla ricerca dell'agenda di cui al momento avevo perso le tracce. Mentre una vera e propria ansia da ritrovamento si stava impossessando di me, in cuffia andava un brano di Ludovico Einaudi, "in un'altra vita", musicista a cui mi rivolgo quando ho bisogno di concentrarmi e scrivere. Di solito mi aiuta. Ma oggi, 20 gennaio 2014, la tecnica einaudiana non stava funzionando a dovere. Mi trovavo a sfogliare le pagine di un quaderno rosso che avevo trasformato in agenda e che avevo riempito di parole e frasi per un anno intero. Sedevo per terra ed ascoltavo. Leggevo. Ricordavo atmosfere e profumi lontani di un Vietnam da poco incontrato. 

20 gennaio 2013, avevo scritto tantissimo rubando spazio anche ai giorni a venire. Era domenica ed avevo approfittato per godermi la città in solitudine. Ricordo che quel giorno avevo deciso di visitare il Museo etnologico di cui mi avevano parlato a lungo. Ricordo che per la prima volta avevo incontrato degli italiani e per giunta ricordo fossero veneti. Li avevo sentiti parlare in dialetto e ricordo di aver provato un sentimento misto tra l'angoscia di poterli conoscerli e la voglia di parlare con loro e manifestare un po' di solidarietà tra veneti all'estero. Ricordo di aver optato per la fuga, mimetizzandomi tra le riproduzioni degli abiti tradizionali delle minoranze etniche vietnamite, perché non riuscissero a cogliere in nessun modo la nostra comune appartenenza. Ricordo di aver assistito per la prima volta allo spettacolo delle marionette sull'acqua con contorno di musica Quan Ho dal vivo. Ricordo di aver incontrato due ragazze vietnamite che mi hanno chiesto se potevano scattarmi una foto (e ricordo di aver accettato pensando: "hanno ragione, tu scatti fotografie a loro in continuazione"). Ricordo di aver assaggiato per la prima volta il Bun Cha, piatto che di lì a poco sarebbe stato eletto come il migliore in assoluto della cucina vietnamita. Ricordo di aver finalmente raggiunto la One pillar pagoda, a lungo ricercata e alla fine scovata proprio davanti al Mausoleo di Ho Chi Minh, luogo praticamente sacro ai vietnamiti che vengono a rendere omaggio allo "zio" nei giorni di festa. Ricordo di aver conosciuto tante persone quel giorno, e di essermi fermata a parlare qualche minuto con chi chiedeva di poter essere fotografato (non sto mentendo, qui la gente si mette in posa e pretende di essere immortalata. Un paradiso). Ricordo in particolare una bambina dal giubbottino giallo che senza dire una parola si era piazzata di fronte a me e mi fissava, un po' perplessa e un po' divertita. Era immobile. La sua fermezza mi aveva colpito parecchio, e non aveva mostrato cedimenti nemmeno quando la madre aveva cercato di corromperla a tornare a casa offrendole un gelato. Poi, collegando l'episodio all'esperienza precedente, avevo capito cosa voleva, avevo preso l'inquadratura e cominciavo a scattare. Poi voleva vedersi ritratta in foto. La madre la incoraggiava, c'aveva preso gusto e sembrava che l'idea di partire avesse abbandonato anche lei. 

20 gennaio 2013. Lo ricordo un giorno intenso e sereno. Ricordo l'entusiasmo dei primi tempi che trascorrevo ad Hanoi, il senso della scoperta e dell'avventura, dell'unicità del mio essere lì, sola ma libera. Ricordo la stranezza del sentirmi così diversa da tutte le persone attorno a me, fuori contesto, ma allo stesso tempo ricordo che l'irripetibilità del momento sembrava rendere tutto surreale, come se tutto ciò non stesse davvero succedendo. 

20 gennaio 2014. E' un giorno malinconico. Ancora adesso fatico a realizzare che quel viaggio sia realmente avvenuto. Non so dire se mi sia mai resa conto davvero di ciò che ho vissuto, mi sembra che tutto sia stato inghiottito da una gigantesca bolla di sapone, di quelle gonfiate dagli artisti di strada per impressionare i bambini, perché rimanesse semplicemente un sogno. Sembra sia passata un'eternità dalla partenza e dal conseguente ritorno. Ascolto il brano di Einaudi che intanto continua a suonarmi in testa e sembra che tutto ciò sia potuto accadere proprio in un'altra vita, tanto tempo fa.

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