Ore 5.20 del mattino. La sveglia suona. La sento ma vorrei ignorarla.
Dall'altra stanza mio padre già discute sulla puntualità mancata,
mi alzo e mi sento esasperata da questo brusco lunedì mattina ancora prima di cominciarlo.
Proseguo a tentoni attraverso le altre stanze ancora buie, più che
altro mi fido della familiarità che ormai ho acquisito per muovermi tranquillamente tra queste pareti: le mie. Il cervello ancora ovattato mi conduce
fino alla cucina, poi al bagno ed infine allo studio dove
fortunatamente la valigia rossa mi aspetta, pronta. Non sono poi
così disorganizzata, penso. E un po' me ne compiaccio.
Mi trascino giù dalle scale, cerco di
non svegliare l'intero condominio ancora assopito. Sono immersa nel
buio e nel silenzio della campagna addormentata, solo alcuni gatti accoccolati sui tetti delle macchine alzano pigramente il muso per accertarsi che niente disturbi il loro sonno. Non è poi così freddo, penso, la nebbia stranamente non
offusca la vista e l'orizzonte. Sfrecciamo nella notte (sì, per me questa è pura
notte inoltrata) verso la stazione dei treni e mi stupisco del traffico che riempie le corsie in
entrambi i sensi di marcia già a quest'ora del mattino. Vedo molte stelle oltre il finestrino, sarà certamente una giornata serena, spero non solo in senso meteorologico. Nascosti tra l'erba alta e i cespugli disordinati stanno i capannoni e le fabbriche fuggono a perdita d'occhio. Dormono anch'esse, avvolte nella brina e nell'oscurità, in estremo contrasto con il ritmo frenetico della produzione che al loro interno a breve si svolgerà.
Salgo
su un treno inaspettatamente gremito di giovani lavoratori e studenti e
cerco un posto abbastanza tranquillo per riposare ed
eventualmente scrivere. Mi dirigo strategicamente verso la fine del
convoglio. L'ultimo vagone di solito ha il pregio di essere il più caldo ed
anche il più silenzioso, ma oggi vengo presto smentita da un gruppo di
adolescenti agitate per un compito che evidentemente le
accoglierà al loro arrivo in classe. Penso con una stretta allo stomaco al mio
periodo liceale, ai risvegli all'alba, agli interminabili percorsi
sull'autobus e a quelle giornate di reclusione in classe mentre sognavo d'essere ovunque meno che lì. Ringrazio tra
me e me di aver passato quella terribile fase della vita e cerco di
risollevarmi al pensiero dei primi, stupendi e indimenticabili anni d'Università. Stacco la mente da questi cupi e tristi
pensieri e torno a concentrarmi sul microcosmo di sedicenni che mi
circonda. Citoplasma, nucleo, Rna: questi gli argomenti più
gettonati da una studentessa davanti a me che viaggia accompagnata da
una testa finta. Sì, proprio una di quelle povere
teste sottoposte ad improponibili esperimenti di colore, taglio e
piega. È la prima volta che mi capita di viaggiare a fianco d'una
testa di prima mattina, crea un'atmosfera surreale, penso, quasi felliniana.
Nel
frattempo la luce rischiara il cielo e brillano
adesso i fiumi ghiacciati e le piccole pozzanghere d'acqua nei campi che vedo scorrere oltre la ferrovia.
Scintilla anche la neve sulle cime delle montagne e l'Inverno per me quest'anno inizia così, a bordo di un treno, il lunedì mattina.
A
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