L'Inverno
vietnamita mi ha messa alla prova. La nebbia densa copriva la città
e ne sfumava i confini. Ovattava il rumore dei motorini e dei taxi
che si sovrapponevano sulle strade ingarbugliate di Hanoi.
Acclimatarsi non è stato facile e nemmeno regolare l'orologio sei
ore in avanti: mancavano il sonno e la fame, mi addormentavo per
sfinimento e mi risvegliavo a seconda dell'intensità della luce del
sole proveniente dall'esterno. Ho assaggiato cibi insoliti,
conosciuto nuove persone dagli accenti diversi, percorso vicoli
stretti a bordo di un vecchio motorino lottando contro il vento
gelido che penetrava nei vestiti, nelle ossa. E rimaneva lì,
intrappolato nella pelle. Ho dovuto farci l'abitudine, al freddo di
gennaio. Dentro o fuori casa non faceva differenza, non c'era verso
che le estremità del mio corpo riuscissero a scaldarsi.
Per
questo era meglio muoversi, camminare, scoprire. Approfittare di ogni
attimo, sebbene ogni istante continuasse a sembrarmi inverosimile,
come in un sogno.
Di
reale c'erano gli odori, quelli forti e nauseanti del cibo e delle
strade e quelli rassicuranti dell'incenso e del tè verde. I colori
invece emergevano inaspettati tra lo smog ed il cemento, al di là
dei fili elettrici e della pioggia leggera che quotidianamente
inumidiva le strade della capitale e i suoi abitanti. Nei percorsi
giornalieri c'era tutto il “mio” Vietnam, che diventava ad ogni
passo più familiare e intimo attraverso i percorsi urbani che avevo
costruito. Andata e ritorno, ogni giornata iniziava con i consueti
saluti e incontri, unica sicurezza del ritrovarsi sola a più di
12.000 km da casa per tre lunghi mesi.
Ad
Hanoi respiravo la storia dell'intero Paese, il suo passato ed il suo
futuro. Agli angoli delle strade i vecchi raccontavano ciò che era
stato, recitavano poesie e coloravano d'inchiostro le proprie
giornate; mentre i piccoli, avvolti tra le braccia della mamma,
guardavano intensamente al domani con incredibile sicurezza e
fiducia.
Ogni
volto era un paesaggio, sconfinato ed indecifrabile, ma pronto ad
offrirsi almeno in parte ai più sinceri viaggiatori. L'attesa
predisponeva all'ascolto aprendo occhi e cuore, il resto accadeva e
basta.
Mi
ritrovavo così, senza averlo previsto, davanti all'altare degli
antenati della famiglia di Tien, a casa di Que per festeggiare il
capodanno lunare, oppure in compagnia di Ly, ascoltando le sue poesie
e le sue storie incredibili. E la sorpresa, l'infinita felicità di
essere lì in quel preciso istante, cancellava ogni preoccupazione ed
ogni timore, invitandomi ad accogliere ogni confidenza come un dono
inestimabile.
Ho
incontrato molte persone lungo la strada, ho guardato alle loro mani
incallite e rugose, sincere testimoni, per conoscerne la storia. Ho
ringraziato chi mi regalava tempo e vita e le mie mani hanno
accarezzato molte altre mani assetate di contatto e calore, mentre lo
sguardo ha incrociato occhi che hanno raccontato e nulla hanno saputo
dimenticare. Mi sono lasciata trasportare dalle parole di chi
desiderava condividerle con me, senza forzature e senza ansie.
Semplicemente lì, in attesa.