sabato 23 marzo 2013

23 Marzo


Forse anch'io come Anna dovrei scusarmi del ritardo, visti i miei sporadici interventi nelle ultime settimane, ma anche da questo lato del Mondo serve prendere il tempo per assorbire le cose. 
Nel mio caso, credo che concretamente ci siano voluti quasi due mesi, e certamente non sono ancora sufficienti per prendere la giusta distanza dall'Italia e la giusta vicinanza a Parigi. 

E Parigi non è la Francia, ma una serie di frammenti di umanità riuniti in un unico grande esperimento. 

E pure io mi ci sono buttato come cavia, senza troppo pensarci, perché dalle stronzate ogni tanto nasce qualcosa di buono. "Le grand rêve Parisien", mi piace chiamarlo, come una specie di alternativa europea al più commerciale "American Dream": ci si prova, si sbatte il naso, ci si riprova. 

Pensavo di sentire più mancanza del Veneto: evidentemente azzerare le cose mi ha fatto bene, e se poi passi dalla noia di una terra ferma da vent'anni ad un porto dove mille culture s'incontrano per lasciare il loro permanente segno l'effetto interiore è devastante. 
E' un pensiero che mi martella ogni giorno, da quando apro il cancello ghiacciato della "Maison Accurso" ed un cielo sempre velato mi accoglie. 

"Les soleils mouillés. 
De ces ciels brouillés. 
Pour mon esprit ont les charmes. 
Si mystérieux."


Più recito Baudelaire, più penso che questo lungo inverno mi ha dato le giuste condizioni climatiche per riflettere in mezzo alla concitazione di una metropoli. 
Ma il cancello si chiude ed abbandono dunque quel sottile confine tra due stati mentali: ciò che sono, e ciò che sarò. Il ritmo accelera, arriva il rumore della strada, del traffico e dell'elettricità: tutti camminano veloce, masticano un assonnato "B'nj'r", ed aspettare dieci minuti un bus è un fatto inaccettabile. 
Non c'é tempo! Abbiamo una città da conquistare! Un posto anche per noi! Dalle colline di Nanterre e Mont-Valerien scendiamo alla conquista di Parigi, allez-y! E "crisi" per il momento è solo una parola in fase di studio.

E poco importa se nel bus non si respira, se tutti spingono. Nessuno si lamenta: la testa è altrove, nel proprio lavoro, in qualche futuro incontro, nella voglia di migliorare. Un paio si sgomitate, un "pardon" e si va avanti. 

Una bolgia infernale la Metro: guai perdere il passo! Al suono della sirena ci si fionda dentro le porte, come i veri Parigini, fatti ormai con pelli ed occhi di tutte le forme e colori.  
Terra d'immigrazione e competizione feroce, ed io ci sono dentro fino al collo. 


Prove tecniche di futuro, di stress e di maturità, anche al lavoro, tra veloci caffé e Chef de projet che s'incazzano per il tuo pessimo francese. Ogni angolo, ogni attimo nasconde una possibilità, un contatto forse, una possibilità di acculturarti per archiviare un' adolescenza passata tra capannoni e letame. 
Quanto piccolo e insignificante è il Veneto rispetto ai progetti che affronto ogni giorno, nei quali le mie stesse origini insignificanti mi costringono a ricominciare tutto da capo, come se fosse il primo giorno d'asilo.




E' questo che assorbo: la velocità, la bellezza del cemento armato, il costante mal di testa per le mille cose che vuoi programmare, vedere, leggere, o semplicemente sognare. 

Ora che Aprile è alle porte le giornate si faranno più lunghe e da Bastille prenderò la prima linea buona per passeggiare lungo i canali di Saint-Martin, convertendo le illusioni in realtà, anche con pochi soldi in tasca. 




E con le gambe stanche respirerò profondamente Parigi intera, mutandomi anch'io in un suo frammento.


M

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