venerdì 15 febbraio 2013

La percezione delle cose


Qual'é la vera percezione di un luogo? Come si arriva a questa consapevolezza? Sono delle domande che mi martellano da qualche giorno a questa parte. Penso di essere arrivato in una fase nella quale conta più ciò che si sente rispetto a ciò che è presente, ed ora che ho imparato ad interpretare il ritmo della vita Parigina, voglio capire come si vive una città, come s'interpretano i suoi luoghi.
Il mio terrore è fare il turista, non riuscire ad intaccare la superficie liscia delle cose. Personalmente odio i turisti, con le loro scarpe da jogger della domenica, la loro bocca mezza aperta (segno che non stanno capendo nulla) e i loro libri-guida pieni di stereotipi. Li detestavo quando vivevo a Venezia, qui ancora di più. 
Ammetto che sia un pensiero antipatico, ammetto che dal mio punto di vista è facile giudicare in questo modo, ma come le pietre di Venezia, le rues Parigine richiedono un rispetto al limite del sacro e un tempo che non va discusso. Un turista è troppo superficiale, forse non è nemmeno colpa sua, ma pretende di conoscere il luogo senza sentirlo, ma solo osservandolo: è come se tu volessi corteggiare una donna pretendendo di baciarla subito. 

Pure io sono caduto qualche volta in questo errore, quello di soffermarmi sulle cose con un naso troppo all'insù, ma ora ho un'occasione talmente grossa tra le mani, che solo l'emozione può farmi perdere. 
Allora lascio a casa ogni dizionario o libro (a parte quello da leggere in metro) e salto da una stazione all'altra, assaporandone la loro staticità rispetto alla quotidiana concitazione. Mi ritrovo completamente spaesato in rue Monsieur le Prince, dove due americani gestiscono un negozio di libri usati, ci passano anche la domenica in quel negozio, come se fosse la loro casa. Non parlano una parola di francese eppure vivono a Parigi da una vita, insieme alle pile di libri e vhs impolverati, come frammenti di un'America troppo distante. Per un attimo mi sento un loro amico e non un semplice cliente: la lontananza ci accomuna. 


Ma senza accorgermene mi ritrovo a fare due passi da Stalingrad fino all'Espace 104, ex obitorio cittadino trasformato in chiassosa piazza piena di eventi e installazioni artistiche. Incontro Eva, una collega che abita qui già da tre anni e lo fa ben notare con un francese spedito, quasi da hostess. Vedo stanchezza nei suoi occhi: non capisco se sia veramente felice oppure le manchi qualcosa. Lavora in un piccolo studio vicino a Père Lachaise: mi parla di lunendì mattina, di lavori en charrette, e dopo quasi un mese, parlare con lei mi fa sentire per la prima volta distante da casa. Mi chiedo come fosse la sua vita prima di arrivare qui. Sento che purtroppo ventisei anni di amicizie e abitudini non potranno essere rimpiazzati facilmente dalle opportunità che cerchi. 


Però il bello della precarietà è che mette tutti nella stessa barca, con lo stesso impaccio. Non dico sia una situazione di totale fraternità, ma ciò che ti accomuna è la voglia di conoscersi, di capire e a volte di chiedere aiuto. Perché si ricomincia tutto da capo, credendo, da poveri illusi, di sapere già qualcosa. 

Credo che Parigi sia stata costruita anche sulle certezze abbandonate, quelle che da clandestino piano piano ti portano a sentirti una cittadino, non solo italiano, ma per la prima volta europeo. Sarò ingenuo, ma non credo esistano tanti altri posti dove sia possibile vedere un collega Tunisino raccontare la propria storia alla mia vicina di scrivania Islandese. E allora la percezione delle cose cambia davvero, non ti interessa più osservare, ma vuoi solo sentire le mille storie di questa città, saziartene fino allo sfinimento e chiederti in maniera nervosa dove diamine stavi prima. Ormai non sono più un turista.
Sento che gli sguardi e le parole delle persone che mi circondano valgono più di mille musei.  

Saranno sufficenti quattro mesi per capire tutto questo? Al futuro non ci penso, sarebbe un'eresia farlo ora. Mi adatto al tempo che questa città vuole scandirmi, per poterla capire, per portarle rispetto. 

Io cambierò con lei.

M

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