sabato 10 gennaio 2015

Il mondo degli altri

Domani saranno due anni di vita qui a Parigi: un intervallo di tempo insignificante se comparato all'immortalità di questa metropoli. Insignificante, ma sufficiente per osservarla, dettaglio dopo dettaglio, respirarne l'aria satura e vederla cambiare.

Per me Parigi è sempre stata una città di transizione, un incrocio di mille mentalità: il mondo degli altri, insomma.
Superata la prima (patologica) luna di miele, della serie “chefigoqui-inItaliafatuttoschifo”, ho tentato più volte, da buon spettatore, di avvicinarmi al palco di questa realtà transalpina, sbagliando molto spesso e cambiando profondamente. Uno spartiacque indelebile che, volente o nolente, mi ha costretto ad azzerare molte cose, a ricominciare sovente da capo.

Sono passati due anni, ma da oggi per me Parigi non sarà più la stessa, stavolta per davvero.
In questi giorni sono accadute cose incredibilmente più grandi della nostra quotidianità fatta di occhi assonnati, isteriche camminate nei corridoi della metro ed emicranie davanti al computer.
Cose troppo grandi e prepotenti per non dire nulla, anche se in mezzo alla bolgia infernale dei social network, dei veleni e degli opinionisti da 160 caratteri, la paura di risultare banale è davvero forte.

Dispiace anche dover rispolverare questo blog abbandonato più di un anno fa, come tante buone intenzioni, in occasione di una tragedia come quella di Charlie Hebdo, ma evidentemente è così la vita: la passiamo accelerando il nostro tempo, accorgendoci delle cose importanti solo a badilate in faccia.

Dannazione a me.

Qui però c'è la paura, anzi, forse più di una, e mi turba pensare che ce ne voglia per forza una per dover esprimere un'opinione. La paura si adatta alle scelte che si vogliono fare, come decidere se restare barricato in casa per la paura di essere fucilato mentre fai la spesa, oppure se scappare via per non farti saltare in aria. La paura ti da la libertà di prendere posizione, di fare la voce più grossa. La paura ti rende improvvisamente esperto, convinto di stare nel giusto, e molto spesso purtroppo anche supponente. La paura ti convince di essere più intelligente e ti getta a tua insaputa nel bordello di Internet, degli attivisti da Hashtag e delle opinioni costruite a tavolino.
Una corsa a sgomitate, per dimostrare a tutti che dall'alto della nostra saccenteria, non abbiamo paura.

Personalmente più del terrorismo mi spaventa la morte, il suo orrore, il suo mistero, troppo grande ed inquietante per poterlo imporre ad un individuo di qualsiasi specie: la morte come fine di ogni scelta e percezione.
E qui a Parigi, di morti ce ne sono stati troppi in un colpo solo: morti arrivati in una maniera talmente irreale e veloce, da non rendersene ancora totalmente conto.

In studio da me si lavora come sempre, si disegna, si ride a qualche battuta, ma con una ruga tesa in più ai bordi delle labbra. Non capisco se sia una mia impressione, ma sembra che tutti si sforzino di nascondere a loro modo un po' di polvere sotto il tappeto, mentre fuori le sirene cantano stridule, nel mondo degli altri.
Con la coda dell'occhio guardo le notizie dal mio PC, nascondendo a fatica l'irrequietudine: è più forte di me.
Colpi di fucile a Vincennes: subito non ci credo, penso sia l'ennesima ondata di panico, l'ennesimo falso allarme, come quello a Trocadéro. Poi la notizia cresce, si fa prepotente, mostra i muscoli, mi torce lo stomaco con un ghigno fra le righe, quasi a sbeffeggiarmi, perché in cuor mio avrei fatto di tutto per sottovalutarla e tranquillizzarmi.
Richard Lenoir, Montrouge, Vincennes: ora non la smetteranno più! Sembra di essere tornati nel 2003. Ma che razza di giovinezza mi è capitata?
Ricevo una chiamata dai miei genitori: hanno la voce pacata, ma cupa e hanno sentito alla radio la notizia. Li conforto dicendo che sto bene, che sono lontano dai casini e che tornerò a casa in bici, ma non sono del tutto convinto dell'efficacia delle mie parole.

Esco, le sirene strillano ed io pedalo mentre il mondo degli altri si distrugge da sé, come avrebbe detto Giorgio Canali, che di Francia ne ha masticata un bel po'. Nell'apparenza tutto scorre come sempre, un metro per volta, mi fermo ad uno stop, al mio fianco Notre Dame. Penso che avrei potuto essere dentro quel supermercato a Vincennes, penso all'orrore della morte e rabbrividisco, mentre una turista asiatica scatta una foto con sorriso idiota.

Il resto del pomeriggio passa tra qualche telefonata e messaggio, seguendo la notizia in diretta, ma è l'isteria del web e dei Social network che regna sovrana, con i suoi paladini della Domenica, complottisti e sciacalli: un inferno che farebbe impallidire perfino Hieronymus Bosch.

Osservo questo spettacolo di opinionisti improvvisati e in me nasce una seconda paura, forse più grande della prima.
Ho come la brutta impressione che sul vaso di Pandora non ci sia più un coperchio, ma una sottile membrana, fatta di buonismo, patriottismo e persone che speculano sulla morte di vignettisti che da vivi le avrebbero sputtanate a sangue.
Persone che prendono volentieri le scorciatoie, che odiano facile e sbandierano facile, poi manifestano, cambiando foto del profilo.

E' una frecciata feroce che lancio ai miei conterranei, lo ammetto, ma non credo nemmeno che la tanto celebrata Francia sia esente da tale ipocrisia.

Anche i transalpini hanno la memoria corta: nessuno vuole vedere che davanti questa unanimità di facciata contro l'orrore, si nasconde una società che mette i più deboli l'uno contro l'altro, costruendo da sé i propri nemici.
Dispiace anche vedere come pochi giornali ricordino come Al Qaeda sia una lontana conseguenza dell'immensa umiliazione coloniale e post-coloniale, e che le lezioni di “civilizzazione-laicità-libertà” siano stati dei fatti inauditi, per alcuni che hanno subito questo e ancora lo subiscono.

A Place de la République, simbolo di ogni grande manifestazione Parigina, sono in centinaia a volersi arrampicare sulla statua della Marianne per gridare “Liberté d'éxpression!”: é un mantra sacrosanto, che non rinnegherei mai, ma non credo sia questo il problema.
Il problema è non far crescere persone talmente prive di speranza, da ridursi a non avere alcuna ragione, se non quella di ammazzare le persone in massa, perché il fondamentalismo, di qualsiasi natura, è irreparabile una volta impiantato.
Non è per niente facile, ma su queste cose credo sia necessario rifletterci prima che i pensieri deliranti, le generalizzazioni e l'odio comincino a contaminare le persone, perché, come ho detto prima, non possiamo più accettare di prendere una badilata in faccia per accorgerci delle cose importanti.

E' questo il problema e la mia paura allo stesso tempo: quando la membrana sul vaso di Pandora si romperà, si litigherà nelle scuole e nelle case su una cosa per la quale abbiamo litigato anche dieci anni fa, inutilmente, dividendoci tra cattolici e no, islamici e no, fino a che, pur di non rovinarci la digestione, faremo passare la questione di moda, prima di risolverla.
Ed io, purtroppo, non sono da meno.

Essere o non essere Charlie dunque? Dopo la paura, arriva il dubbio: come posso bypassare tutte queste polemiche, facendo qualcosa nel mio piccolo? Evitare che l'aria di Parigi (e non solo) si avveleni ancora di più? C'é un modo per il quale il mondo degli altri possa anche diventare il mio?

Ormai è sera, si fa buio nel XV Arrondissement, i tre terroristi vengono uccisi in un blitz coordinato: qualcuno canta vittoria, io no, e mi angoscio nel pensare alla morte come risposta a se stessa.

Ho mal di testa, ma i miei pensieri ora si concentrano su Charlie Hebdo.

Penso al disegno, alla matita, come forma di comunicazione, come qualcosa che tiene vivi l'istinto e l'innocenza. Perché disegnare, ricorda Vinicio Capossela, è una cosa che tentiamo di imparare fin da piccoli, come un gioco, e dal gioco nasce la ricerca della bellezza, che a sua volta genera arte.
E la libertà d'espressione è anche questo: cercare la bellezza ovunque, con la matita o qualsiasi altro mezzo.
E con tali mezzi si catturano le gioie ed i dolori della vita umana, per portarle nel mondo delle idee e tradurle in arte. L'uomo usa l'arte per costruirsi una memoria: lo può fare celebrandola o irridendola, e quest'ultimo è il caso di Charlie Hebdo, dove gli uomini orribili, prepotenti ed arroganti diventano piccoli, ridicoli e divertenti. La risata come esorcismo, insomma.

Penso alle idee che non danno preavviso, penso alla matita come generatrice di queste ultime, penso alla matita come punto di partenza per ogni evoluzione.

Mi ricordo di essere un giovane architetto, pure nella nostra professione tutto parte da uno schizzo: è il seme che utilizziamo per tentare, non senza difficoltà, errori e frustrazioni, di rendere questo mondo più vivibile. Forse si dovrebbe impugnare un po' di più la matita ed un po' meno il mouse nella nostra professione, per ribadire che anche l'architettura, con il disegno, è libertà d'espressione: sarebbe un bel modo, nel nostro piccolo, di difenderla.


Allora, dopo questo pensiero, mi sforzerò di riempire le pagine bianche di schizzi, osservando Parigi scioccata nei suoi cambiamenti, entrando nel mondo degli altri, per poterlo forse arricchire un giorno.  


M


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